Nuova Zelanda, voto 10: brillanti, eleganti, con una pulizia e una intensità di gioco che non si limitano a vicenda, le tutte-nere sono una squadra spettacolare ed è un peccato che così pochi telespettatori al mondo (meno di 10 milioni, riteniamo) abbiano potuto seguire la loro finale supersonica contro un’Inghilterra quasi altrettanto forte. Uno spot perfetto per il rugby rosa. La metà stadio che gridava in coro “Black Ferns! Black Ferns!” nonostante si fosse su suolo britannico testimonia il fascino che anche le tutte-nere, come i tutti-neri, esercitano su ogni fan. Portia Woodman (13 mete nel torneo, record di ogni tempo per un Mondiale maschile o femminile), Selica Winiata, la rientrante e sempre sorridente Carla Hohepa, il pilone Toka Natua autrice di tre mete nella finale sono alcuni degli elementi più rappresentativi, ma la giocatrice che ci è piaciuta di più è stata forse il mediano di mischia Cocksedge, brillante, scaltra e tremendamente combattiva. Cinque vittorie in cinque finali per la NZ, otto podi in otto edizioni per l’Inghilterra: nere e bianche continuano a dominare il rugby femminile.
Italia, voto 7: una buona partenza con gli USA (12-24), due partite inferiori alle attese con Inghilterra (13-56) e Spagna (8-22), quindi il bel finale contro Giappone (22-0) e di nuovo Spagna (20-15 e.t.) fanno del Mondiale azzurro un’avventura con più luci che ombre. Il nono posto finale è ottimo, ma rimangono alcune evidenti difficoltà: il piano di gioco non è molto vario, il gruppo sembra avere poca possibilità di ricambio (nella partita finale Di Giandomenico ha operato una sola sostituzione, l’intera prima linea titolare ha giocato 80+10 minuti) e a parte Furlan e in parte Sillari non si vedono ragazze in grado di creare profondi break. Gli infortuni a Cammarano, Magatti, Ferrari e Trevisan –uno a partita, come un crudele metronomo- hanno acuito queste fragilità. Il gruppo azzurro è notevole per coesione e capacità di lottare (943 placcaggi nel corso del torneo) ma non sembra avere grandi margini di miglioramento per il futuro immediato. Tra le giovani la più interessante è forse Beatrice Rigoni, apertura ancora acerba ma già inventiva, con personalità e buone mani.
Andrea Di Giandomenico, voto 6: il gioco delle azzurre non brilla, a nostro avviso, neppure nelle partite contro le squadre sulla carta più deboli. Tanti placcaggi, una maul efficace, aperture al largo un po’ accademiche con la speranza di un’invenzione finale da parte di Sillari o Furlan. Forse in un evento come i Mondiali il gioco prudente di “Sisò” è la tattica più saggia e il raggiungimento del nono posto sembra confermarlo, ma ci rimane il sospetto che Di Giandomenico sia un ottimo dirigente e un bravo amalgamatore di persone più che un incisivo stratega di gioco.
Beatrice Benvenuti, voto 8: il fischietto roman-abruzzese ha diretto come guardalinee sei partite, chiudendo con una designazione per la finale del 3° posto che è parsa un riconoscimento del buon lavoro svolto durante il torneo iridato; insieme a lei, come altra guardalinee di quella partita, era Alhambra Nievas, l’anno scorso eletta miglior arbitro donna al mondo. Pur forse priva del carattere forte che possiedono altre direttrici di gara, Benvenuti sembra essere riuscita a far breccia nella stima dei responsabili del World Panel non solo con la propria competenza ma anche con un animo positivo e una solare voglia di continuare sempre a imparare.
Pubblico, voto 5: l’afflusso del pubblico nei due piccoli impianti di Dublino (fase preliminare) e in quelli più grandi di Belfast (semifinali e finali) è stato una delusione, finalissima a parte. Dopo l’ottima riuscita del mondiale in Francia nel 2014 e con il rugby femminile in lenta ma costante ascesa di popolarità si confidava in un torneo irlandese traboccante di spettatori, la realtà è stata molto diversa. Una gestione forse errata degli orari di gioco (spesso due partite in concomitanza) e della vendita dei biglietti (un ticket dava diritto ad assistere a tutte le partite della giornata ma com’è naturale la maggior parte degli acquirenti aveva voglia e tempo per presenziare solo a un match) ha prodotto vaste chiazze vuote nei pur non ampi spalti. World Rugby ha glissato sull’argomento, vantando sui propri social network i record di audience televisiva e di traffico in rete senza menzionare mai il numero di spettatori sul posto.
World Rugby, voto ?: la gestione del Mondiale femminile e più in generale del rugby rosa da parte del board mondiale lascia dunque spazio a dubbi e critiche. Il meccanismo del torneo iridato non è inutilmente complicato e troppo logorante per le atlete? Dodici squadre partecipanti non sono poche? La scelta di piccoli impianti per le prime tre giornate non è stata penalizzante e troppo prudente? Programmare partite in contemporanea non è un’assurdità? L’impegno profuso nel 7s non sta deteriorando il rugby a XV, trasformando i Mondiali in un’oasi nel deserto? Dubbi ai quali non è però facile rispondere con certezza, proponendo solide alternative. Il nostro giudizio su World Rugby rimane pertanto sospeso.
Canada e Francia, voto 8: foglie d’acero e bleues sono le uniche vere contendenti al predominio di Nuova Zelanda e Inghilterra. Le canadesi si sono dovute accontentare del 5° posto a causa di uno sfortunato accoppiamento con le felci nere nel girone preliminare, ma hanno chiuso con cifre ampiamente positive (4 vittorie in 5 partite, miglior difesa in assoluto…). Dati ancor più notevoli se si pensa che le biancorosse per scelta fanno a meno di molte delle giocatrici 7s, rinunciando a medaglie olimpiche come Kish, Landry e Farella. Ottime impressioni ha creato anche la Francia, al sesto 3° posto in otto edizioni; quella transalpina è una realtà preziosa non solo per il valore della nazionale ma anche per l’iconicità di alcune sue giocatrici (Safi N’Diaye, Gaelle Mignot, l’esordiente Montserrat Amedée…) e per il grande seguito da parte del pubblico. Un seguito che tre anni fa nel mondiale di casa aveva potuto esprimersi sul campo e che in questa edizione irlandese si è “sfogato” in una serie di record televisivi culminata nei 3,04 milioni di telespettatori medi del match con l’Inghilterra, su France 2.
Schiavon, Gaudino e Zangirolami, voto 10 con grande lode: un voto meritato nel tempo per queste giocatrici che hanno probabilmente chiuso a Belfast la carriera in azzurro e che hanno segnato la storia della palla ovale femminile italiana. Ottantadue caps per Veronica Schiavon, 76 per Paola Zangirolami (tanti quanti Sara Barattin), 72 per mamma Silvia Gaudino (nella foto FIR in alto), tutte nate nella prima metà degli anni ’80. Hanno vissuto l’intera evoluzione del rugby femminile: dall’anonimato degli anni ’90 all’ un-po’-meno-anonimato attuale. A loro un grazie enorme