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The Good & The bad

Quentin Geldenhuys
Scritto da Rugby.it

Tu dormi che t’accolse agevol sonno diceva il Poeta alla sua donna. Tu dormi. Pensiamo che un “agevol sonno” accumunerà tutti gli abitanti del sabato del villaggio albionico. Mentre per noi la vigilia sarà dura e colma di timore, come sempre…

The Good

Dobbiamo uscire ovviamente dai confini celtici per trovare un po’ di Good italiani. Questa volta ci fermiamo in quel di San Donà che riesce a sconfiggere in casa i campioni dell’Eccellenza dell’anno scorso di Rovigo. Con un finale particolarissimo, per altro, perché Rovigo, per cercare di fare un’altra meta (che sarebbe stata la quarta ma non avrebbe comunque fatto pareggiare), decide di non trasformare dopo la meta realizzata e giocare il restart gettando alle ortiche il punto di bonus difensivo. La corsa ai playoff in Eccellenza è molto animata (le prime sette possono farcela), ugual discorso per quella per la salvezza. 10 squadre che quest’anno sembrano poter battagliare molto animatamente. E questo ci fa solo bene.

The Bad

Abbiamo visto le Zebre giocare in Celtic. Non hanno giocato male. Questo ha dell’incredibile se poi si vede il punteggio. Come si può dire che una squadra che ne piglia così tante abbia giocato “non male”? Certo la negazione (“non male”) piuttosto che l’affermazione (“hanno giocato bene”), retoricamente, ci aiuta ad esprimere un concetto che vale anche per l’attuale Treviso. Pare quasi di vedere che per larghi tratti delle partite il “sugo” ci sia, o ci possa essere. Buoni attacchi, bei passaggi, buoni placcaggi. Ma poi intorno al sugo manca l’impiattamento, manca la pesatura proporzionata degli ingredienti, la cottura non è sempre a puntino: insomma, inevitabile, arriva un riciclo che non serve, una decisione di attacco avventata, un lancio in touche horror, una salita della prima guardia in ruck mentre l’attaccante gli corre nel canale, un placcaggio molle dopo 5 placcaggi buoni dei compagni…

La sensazione, riassumendo, è che nel rugby moderno se ti lasci indietro 5-6 “dettagli” poi prendi punteggi che ti fanno sembrare un amatore contro un professionista. E forse la differenza tra quasi pro e veri professionisti passa esattamente da questa cura per i dettagli che ti rendono migliore e alla pari.

Italia sì, Italia no

Abbiamo perso il conto delle volte che si è discusso sui meriti dell’Italia di far parte del Sei Nazioni. Ormai è un argomento di maniera, come  “i politici sono tutti ladri, “non ci sono più le quattro stagioni” o “il pane di oggi non dura fino al giorno dopo”.

Non c’è molto da dire: il 6 Nazioni è un torneo chiuso, si potrebbe sostenere che non è meritocratico, non lo è mai stato, è un torneo fatto di tradizione e la tradizione si basa su altri valori che quelli semplicemente metrico-decimali delle vittorie e delle sconfitte. Si potrebbe anche aggiungere che, forse escludendo la Georgia, quel sesto posto nel torneo non potrebbero averlo in molti. Si potrebbe anche dire che giocare in Georgia non è proprio agevole per team e tifosi. Si potrebbero dire un sacco di cose. Ma, noi italiani in primis, dovremmo a questo punto farla finita: o non si parla, nessuno, più di sta roba, o non si risponde più a domande in merito oppure si è i primi a sostenere il passaggio al sistema retrocessioni-promozioni con la partita di barrage.

Facciamola sta partita, dal 2024 o 2025 o anche da prima, chiediamolo noi stessi, giochiamo, facciamo tacere le chiacchiere virtuali e facciamo parlare il campo. E se meriteranno loro: auguri per sconfitte meno pesanti e per qualche vittoria in più.

Parte il super rugby

Veloce, spettacolare, fisico: parte il super rugby e ci sarà da divertirsi. Un torneo pesantissimo per chi ci gioca (fusi orari, trasferte lunghe…) ma che mostra un rugby meno “impatto e sfondo” e con tantissima tecnica di base e partite sempre frizzanti.

joseph k.

Foto: copy Stefano Del Frate. Flickr, Sito web.

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