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The Good & The Bad

rovigo rugby
Scritto da Rugby.it

Francesine ai francesi, momenti rugbystici strappalacrime e la descrizione tecnica della sindrome da stress da performace. Insomma: The good & the Bad della settimana.

Finiscono i campionati delle sorprese: dopo 26 anni i Bersaglieri tornano a fare proprio lo scudetto italiano, il Connacth per la prima volta vince il titolo di Celtic League. In particolare la parabola del Connacht ci insegna che forse a rugby (qualche volta) si vince anche con meno denari e pochi vip dell’ovale in squadra, e che un’ottima organizzazione di un altrettanto ottimo coach, un desiderio di un’intera regione possono spingere e compiere un piccolo miracolo sportivo.

Impariamo, mettiamo da parte l’esempio e con tanta tanta umilté proviamo a seguire quella linea. Mica vogliamo diventare vecchi e grassi prima di vedere una cosa simile:

The Good

Conor O’Shea. Sì, è vero, non ha ancora fatto nulla. Ma diciamo che se dobbiamo valutare un possibile nuovo collaboratore dal suo primo colloquio di lavoro, il candidato Conor O’Shea è andato piuttosto bene. Non ha fanfaronato promettendo cose impossibili, ha detto che abbiamo problemi di fitness e di testa, cose abbastanza evidenti dato che la nostra squadra dopo 40-50 minuti inizia a essere piallata e appena piglia una meta, magari di rapina, crolla col naso a terra. Conor ci ha detto che spesso siamo noi stessi a prendere il piccone e scavare la nostra fossa o a comprare il fiocco per incartare i regali per i nostri avversari. Fitness e testa, allenamento e capacità di resistenza mentale: auguri Conor, gli obiettivi li hai ben presenti, speriamo che tu sappia come arrivare… alla meta.

The Bad

Giacomo Bernini. In verità è uno strano caso di The Bad, perché il giocatore poteva essere tranquillamente inserito nel paragrafo appena precedente, cioè come The Good. Nella finale Rovigo-Calvisano ha disputato una partita davvero ottima, performante, buoni placcaggi, ottimo come ball carrier. Tutto questo fino a 10 minuti dalla fine, quando su un calcio alto è andato a pressare Minozzi e lo ha placcato in aria. Il placcaggio in aria è molto pericoloso, qui non c’è stata  conseguenza e Bernini ha fatto una cosa non cattiva, un po’ da “stress di performance”.

Dicesi stress da performance: quando sei in campo, ma anche quando suoni su un palco o reciti davanti a un pubblico o fai un esame importante, a volte succede che ogni cosa che fai scorre in modo automatizzato, che quasi “ti vedi dall’esterno” come un altro che fa le cose che tu stai facendo. Subentra la naturalità dell’assenza, si spegne la percezione sonora del mondo, si amplia una sorta di sentire auto-percettivo. Non sappiamo se questa cosa illustri psicologi l’abbiano descritta, ma è una sorta di iper-pensiero dove non si pensa a nulla e il corpo va avanti da solo. L’annullamento decisionale nel gesto estetico. Questa cosa accresce la nostra prestazione ma porta anche a fare quelle che in gergo rugbystico sono tecnicamente chiamate “cavolate”, cavolate che una normale e ponderata riflessione avrebbe potuto evitare.

Sei avanti nel punteggio, in totale controllo, lasci la tua squadra in 14 con rischio di buttare la finale. Eppure il gesto di Bernini lo capiamo: nel nostro piccolo ci successe un caso da manuale di “stress da performance” durante la finale di basket della quinta liceo. Davanti ad un pubblico di -aia di persone (invero accorse per farsi autografare – i selfie non c’erano ancora – all’intervallo da Pozzecco e poi defilate mestamente lasciando i 10 giocatori in campo in compagnia del solo arbitro), il vostro redattore andò a pressare in modo ossessivo su una rimessa laterale. L’avversario gli tirò secca la palla sul naso. Il vostro redattore, con la forza di mille braccia esili, lo sollevò dalla canottiera (senza ovviamente alzarlo di un cm), la quale non tenne e miseramente si strappò in stile Hulk Hogan a Wrestlemania 4 (erano quelle canottiere in acetato da 5 mila lire che al mercato ti personalizzavano con il numero stampato a caldo, una sciccheria low cost per l’epoca).

Non trovate corrispondenza tra i due gesti? Ecco, il vostro redattore ha omesso un piccolo particolare: mancavano 15 secondi alla fine e la sua squadra era sotto di una trentina di punti. Ergo, forse si poteva preparare la borsa per la doccia e non stare ad alitare zaffate di sudore in faccia all’avversario…

L’anno che sta arrivando, tra un anno passerà

Stiamo un po’ cercando di capire la filosofia di fondo degli acquisti delle nostre celtiche. A prima vista pare che ci siano due filoni che ne hanno indirizzato le scelte:

  • far rientrare più italiani possibile
  • evitare di spendere soldi per stranieri vip o presunti vip che poi rendono poco.

In generale sono cose condivisibili, anche perché abbiamo budget che sommando Treviso e Zebre forse arrivano a quello di Newport. La cosa forse farà bene per la nazionale e speriamo darà frutti ma temiamo che tra un anno saremo a fare bilanci dell’anno che sta arrivando simili agli attuali dell’anno passato, cioè non molto positivi…

La francesina al francese

Una francesina è quel tocchetto che ti fanno alla caviglia per farti incespicare e cadere quando ormai vedi la meta già fatta e le donne che ti baciano e i bambini che ti chiedono la firma sul pallone. Una francesina è tanto bella come gesto tecnico quanto infame: il placcaggio è 1 vs 1, uomo contro uomo, vis à vis; la francesina è il tipico atto di recupero, una rapina a mano armata di meta all’ultimo secondo. E proprio per questo è totalmente e meravigliosamente rugbystica…

Nel video una francesina da manuale fatta ad un francese…

I 20 momenti strappalacrime del mondiale

Ok, di tempo ne è passato, ma il rugbysta è sempre un sentimentalone e quando si può lacrimar, perché non lacrimar?

Foto copy Stefano Del Frate (https://www.flickr.com/photos/stefanodelfrate/, http://www.stefanodelfrate.com/).

joseph k.

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