Un bilancio della stagione delle nostre in Pro12: quale l’investimento migliore?
Come dicono quelli che sanno scrivere bene questo articolo necessita di alcune note metodologiche prima di addentrarsi nelle argomentazioni.
Innanzitutto è bene chiarire sin da subito che questa analisi, pur partendo da dati oggettivi, non ha alcuna pretesa di essere oggettiva anche nei suoi approdi che rappresentano, invece, una legittima ed opinabile opinione dello scrivente. Scrivente che, oltretutto, non intende nascondere una sorta di “conflitto di interessi”: simpatizza per Treviso come per ogni squadra italiana, ma è, senza nascondersi, un sostenitore delle Zebre. Insomma, si parte dai numeri per arrivare alle idee: mentre quelli sono per loro natura oggettivi, queste non lo sono, né lo possono essere.
Quindi procederemo con una valutazione complessiva della stagione italica in celtic, dopodiché analizzeremo separatamente le due franchigie per concludere con un personale giudizio comparativo. Occorre dire che nell’analisi ci si riferirà unicamente alla stagione di Pro12, lasciando da parte le prestazioni nelle coppe europee: troppo diversa la caratura degli avversari che capita di incontrare nelle due diverse competizioni, ragion per cui ogni confronto sarebbe invero squilibrato.
Infine il vostro scrivano, purtroppo, nella sua vita non ovale non si occupa dell’amato rugby, ma della ben più arida materia degli investimenti finanziari, ragion per cui la metafora adombrata nel titolo (e che tornerà nelle argomentazioni sottostanti) è stata suggerita dalla consuetudine professionale. Se in tasca abbiamo solo un eurino, su quale titolo è meglio puntare? Ma adesso bando a queste ciance e andiamo avanti con altre diverse ciance!
Che stagione è stata?
Diciamolo subito senza nasconderci dietro un dito: è stata la solita stagione delle italiane in celtic. Come al solito le nostre franchigie si sono malinconicamente divise gli ultimi due posti della classifica generale, come, probabilmente, ognuno si attendeva sin dall’inizio del torneo. Nessuna sorpresa da questo punto di vista, quindi. Abbiamo totalizzato in tutto 44 punti, che sono 10 di meno della peggiore delle scozzesi (giunta nona), vale a dire Edimburgo, squadra di un Paese con il quale, a livello di nazionali, ci confrontiamo da posizioni non altrettanto sfavorevoli. L’amara verità è che la più scarsa delle scozzesi da sola vale più punti delle nostre due messe insieme e questo è un dato che non può lasciare indifferenti. Perché se a livello di nazionali ce la giochiamo più o meno alla pari, quando si tratta di club due delle nostre valgono meno della peggiore delle loro? Chi scrive, non da ieri, è dell’opinione che a fare tutta questa differenza, trattandosi del livello professionistico del nostro sport, sia la notevole distanza fra i budget delle nostre squadre e quelle degli altri paesi con i quali ci confrontiamo. Una differenza di budget che non significa solo possibilità di contrattualizzare giocatori più forti, ma anche livelli organizzativi più elevati e coaching-staff più completi e ricchi di competenze. Finchè non cambierà questa condizione di minorità sarà impossibile competere alla pari, persino con le peggiori delle altre. Come cambiarla? Chi scrive vede solo due possibilità: rinunciare ad una franchigia e convogliare su una sola le risorse oggi disperse in due rivoli (divisi si straperde, uniti, magari, un po’ meno), oppure far si che le due franchigie aumentino il proprio fatturato. Fare la prima cosa sarebbe del tutto fattibile: basterebbe volerlo. Per la seconda, che sarebbe di gran lunga migliore, purtroppo chi scrive non ha ricette e non ne vede in giro. Dovremo quindi abituarci ad un eterno ritorno della situazione attuale? Sarei molto felice di poter scrivere che non credo sia così. Purtroppo, in tutta coscienza, non me la sento di scriverlo.
La stagione del Benetton: un bond governativo breve termine
Quella che vediamo sopra è la rappresentazione grafica della performance di un investimento su un paniere di titoli governativi a breve scadenza negli ultimi 10 anni. Caratteristica di questa tipologia di investimento è il basso livello di rischiosità, correlato ad un basso livello di redditività (qualcuno sosteneva che in finanza non esistono pasti gratis…). Un investimento poco volatile, con pochi alti e bassi ed un andamento piuttosto prevedibile.
Che tipo di investimento è stato questo Benetton? Direi quello che vedete sopra: senza grandi scossoni, affidabile, poco remunerativo, ma tranquillizzante. Naturalmente deludente, ma questa è una risposta fin troppo facile, considerato l’ultimo posto conseguito, per la prima volta anche a livello “interno”. E sì che non si era partiti malaccio nelle prime partite: se si eccettua il pesante passivo (48-7) subito in trasferta contro Ulster le prime partite stagionali raccontano molto bene che tipo di squadra è questo Benetton: una squadra “povera” sul piano tecnico e tattico, ma solida e quadrata nella testa. Una squadra che raramente sbraca e che riesce a “stare in partita” anche quando l’avversario tende ad accelerare: i biancoverdi si rannicchiano a terra ad aspettare che il peggio passi e poi, quando si apre uno spiraglio, sono sempre lì belli vivi e pronti a riproporsi: una caratteristica encomiabile, questa, senza dubbio. Treviso è stata costantemente “questa squadra” per tutta la stagione, una squadra poca, ma che quel poco lo butta tutto in campo, che perde sempre, ma raramente sbraca, come detto. Questa caratteristica è rimasta invariata e poco, da questo punto di vista, ha inciso il cambio di manico fra Casellato e Goosen. Il merito del coach sudafricano è stato più psicologico che tecnico: ha saputo rimotivare una squadra che, soprattutto dopo i due derby persi contro le Zebre, rischiava di lasciarsi andare. Invece Goosen ha saputo tenere dritta la barra, senza fare grandi cose in realtà, ma va detto che le risorse a disposizione non consentivano grandi spazi di manovra. Così, approfittando anche del rientro di giocatori importanti come Morisi, Sgarbi ed Esposito, che hanno ridato un senso ad un reparto arretrato con scarsissima qualità, Goosen ha saputo far trovare la sua squadra pronta quando il calendario gli ha messo di fronte in casa le squadre gallesi più abbordabili, da cui sono venute due vittorie che hanno dato benzina morale sufficiente per concludere decentemente una stagione che, ad un certo punto, si poteva temere disastrosa. Forse anche per questo è stato possibile il sorprendentissimo successo contro la allora capolista Connacht alla penultima giornata.
La stagione delle Zebre: un titolo azionario small cap
Sopra è rappresentato l’andamento grafico di un investimento su un paniere di titoli azionari di aziende a piccola capitalizzazione negli ultimi 10 anni. Si tratta di una tipologia di investimento caratterizzata da un livello di rischio elevato e da elevata volatilità; innanzitutto perché si tratta di azioni, più rischiose delle obbligazioni, e per di più di azioni di piccole società ad elevata crescita, ma più fragili e soggette a scossoni rispetto alle cosidette blue chip, cioè i titoli di aziende a grande capitalizzazione. Nondimeno un investimento che, se da un lato nel breve termine distribuisce patemi d’animo, nel lungo periodo statisticamente dà elevati livelli di rapporto rischio-rendimento.
Per la verità quella che racconta il grafico soprastante non è proprio “questa” stagione delle Zebre: diciamo che il grafico è un auspicio ragionato, ma ci torneremo alla fine. Le Zebre di quest’anno si presentavano ampiamente rinnovate, sia nell’organico che nella guida tecnica: dall’Eccellenza è arrivato Gianluca Guidi, un tecnico giovane, ambizioso e caratteriale, con un curriculum ancora “under construction”. L’avvio non è stato facile: come dimenticare le primissime uscite con quella che qualcuno ebbe a definire “difesa anarco-situazionista” dove sembrava che ogni pedina si muovesse a casaccio senza un reale coordinamento? Non devono essere state comode queste prime settimane per Guidi e i suoi ragazzi: circondati da sfiducia in molti casi “preventiva” e sottoposti a durissime critiche. Poi, però, la musica è cambiata; arrivano le prime vittorie in Pro12 e anche gli impegni di Challenge danno una mano: non sono rilevanti ai fini della nostra analisi, ma hanno dato indubbiamente una notevole spinta psicologica. Quando si arriva al momento dei derby con Treviso il quadro sembra chiaro: una squadra vincente contro una abbonata alla sconfitta. I due scontri diretti, anche se, invero, assai combattuti ed equilibrati sembrano inclinare a questa rappresentazione. Le Zebre ne escono confortate e sembrano pronte al salto definitivo: addirittura c’è una fugace apparizione al terz’ultimo posto (fugace purtroppo). Ma qui troviamo lo spartiacque della stagione bianconera, quello che segna un prima e un dopo. Le Zebre giocano un ottimo match contro il fortissimo Munster rischiando di vincere, poi comincia il 6 Nazioni e il giocattolo si rompe. La squadra di Guidi, già falcidiata dagli infortuni, cede gran parte del suo organico alla nazionale azzurra, in proporzioni decisamente superiori a quelle dei rivali biancoverdi. Addirittura in un match capita che fra infortunati ed indisponibili azzurri il coach bianconero si ritrovi ad allestire una squadra senza poter contare addirittura su 20 giocatori! Per di più anche il calendario ci mette del suo proponendo proprio in questo momento i confronti, spesso in trasferta, con le primissime della classe. Cominciano a fioccare pesantissime sconfitte su un organico contato, in cui devono per forza giocare sempre gli stessi (si pensi solo al minutaggio che deve sobbarcarsi in questa fase un giocatore dell’età di Marco Bortolami). Le Zebre sono con tutta evidenza una squadra che vive di entusiasmi, entusiasmi che vanno e vengono a seconda dei risultati; entusiasmi volatili come un titolo azionario a piccola capitalizzazione. Il loro stesso gioco è così: fatto di lampi illuminati dall’estro in attacco e difese arrembanti, salienti e rischiose; un gioco che quando le cose vanno bene si irrobustisce di fiducia e si sgonfia di delusione quando le cose vanno male. La parte finale della stagione è una specie di calvario, illuminato solo dall’ultimo guizzo casalingo quando il calendario mette di fronte una squadra debole e demotivata come i Dragons.
Un giudizio comparativo fra i due investimenti

Il grafico soprastante riporta la comparazione fra le due tipologie di investimento cui abbiamo paragonato le due franchigie negli ultimi 10 anni e non ha bisogno di particolari commenti. La coscienza professionale di chi scrive obbliga a precisare che non esistono investimenti giusti o sbagliati, ma investimenti adatti a diversi profili di rischio e che un portafoglio-investimenti equilibrato deve seguire le regole della diversificazione e bilanciare i fattori di rischio-rendimento.
Allora, era meglio puntare il nostro eurino sul “Bond Treviso” o sulla “Zebre S.p.A.”? Chi scrive pensa che tutto dipenda dalla prospettiva che si vuol dare al proprio investimento. Se volevamo stare tranquilli, rinunciando alle possibili future soddisfazioni, potevamo scegliere il bond. Il gioco mostrato da Treviso è stato così: si rischia poco, ci si accontenta, ma si evitano bruschi scrolloni, che psicologicamente fanno male. E qualcosina, qualche spicciolo (i tanti punti di bonus difensivo e le vittorie di misura) si porta a casa. Una prospettiva a breve termine, scelta pensando all’hic et nunc, il qui ed ora. Come avrebbe detto il grande Troisi davanti alla scelta fra un giorno da leoni e 100 anni da pecora: “Non si potrebbe fare 50 da orsacchiotto?” Domani (Crowley) si vedrà, ma per adesso vediamo di metterci al riparo perché là fuori tira una gran brutta aria. Le Zebre, invece, hanno rischiato, hanno spiegato le vele al vento con un gioco che ha cercato di proporle da pari a pari con avversari più forti; senza complessi di inferiorità, pur essendo oggettivamente inferiori. Questo ha portato alti e bassi, alte vette e profondi canyons: le Zebre sono perfettamente rappresentate dalla loro talentuosa giovane apertura Carlo Canna. Inventivo, sfrontato, sorprendente; ma anche umorale, supponente, rischioso. Una scelta che a breve termine fa stare poco tranquilli, insomma, sempre sul chi vive, perché dopo la genialata può arrivare la vaccata! Sul lungo termine, beh, il grafico del paniere delle small cap stocks spinge il sottoscritto a mettere qui il suo eurino. Se vogliamo, un giorno, batterci da pari a pari con i più forti (problemi di budget a parte sui quali un tecnico e i suoi giocatori nulla possono) dobbiamo provare a giocare come se più forti non fossero e credessimo davvero nella possibilità di batterli. Altrimenti possiamo giocare per non sfigurare e abbonarci per sempre alla nostra attuale situazione. Anche se i numeri non dicono, in definitiva, chi è stato meglio quest’anno, il gioco visto in campo spinge chi scrive a scegliere le Zebre, a scegliere la prospettiva rischiosa e gloriosa rispetto alla rassicurante consuetudine. Come fa dire l’Alighieri al suo Ulisse nel 26esimo canto dell’Inferno: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Seguiamole allora, inoltriamoci nei procellosi mari pieni di pericoli a cercare la nostra Itaca!
jpr