In un campo di fieno del paesino di Macigno, lungo una stradina con punte di pendenza al 14% che attraverso le colline emiliane porta al diroccato castello di Canossa, si poteva ammirare nel primo decennio di questo millennio una porta da rugby conficcata su due rotoballe. Questi pali e queste rotoballe si trovavano sulla sommità di un costone che costituiva il terreno di gioco del “Rugby in salita” (o “Rugby in discesa”, c’è sempre stata un po’ di incertezza sul nome), un gioco che non si giocava in nessun’altra parte del mondo.
Il rugby in salita era uguale al rugby classico ma veniva disputato su un campo con pendenza al 15% circa, richiamava ogni estate per una giornata di festa campestre decine di appassionati, metteva a durissima prova i polpacci dei giocatori e costituiva la fantasiosa variante locale di uno sport, il rugby, al quale è sempre piaciuto molto frammentarsi in nuove discipline: union, league, a sette, a nove, a dieci, beach, snow, underwater, wheelchair, in salita…
Una variante quasi obbligata quella del rugby in salita, visto che nei dintorni di Canossa, in quell’ondeggiare di valli e colline, trovare uno spazio in piano è una vera impresa.
Nel 2006 Macigno e il suo rugby in salita (o in discesa) finirono per qualche ora anche come prima notizia sull’home page del sito dell’IRB, l’International Board ora chiamato World Rugby.
L’avventura del rugby in salita durò pochi anni, un’estate l’appuntamento saltò e senza che ce se ne accorgesse la tradizione si perse.
Nell’Olimpo delle leggende del rugby rimane però scolpito per sempre, in un angolino, il nome di Macigno, il piccolo paesino appenninico che inventò contemporaneamente il rugby in salita e il rugby in discesa.