Zebre che divertono, un appello contro pessimismo e kilorugby per la fantasia al potere e alcuni italiani che possono rientrare
Bene, le Zebre sono arrivate terze nel girone di Challenge, non siamo ultimi, è già un buon risultato ottenuto con orgoglio e impegno. Treviso ha dimostrato, quando era ancora in corsa, di giocarsela, di mettere in difficoltà megacorazzate come Tolone. Siamo ancora indietro ma, forse, piano piano, qualcosa cambia e iniziamo a diventare quella “squadra rognosa che non si vorrebbe incontrare” che desidera il nostro condottiero Corrado Oscìa…
The good
Le Zebre.
Non solo perché hanno vinto ma perché ci hanno dimostrato che si può anche perdere facendo bel gioco. Le Zebre hanno una gran voglia di farsi vedere, di muovere l’ovale, di creare occasioni, di provarci, insomma.
E quelli che ci provano, senza paura, quelli che non si fanno cogliere dalle timidezze di fronte alla bella spasimata, a volte magari corrono il rischio di fare brutte figure (con Agen alcune mete prese da intercetti su off load “esagerati” ma che ci stanno con il gioco spumeggiante dei quadrupedi), prendono i due di picche, magari fanno cose ridicole “per amore”, ma sono quelli che si buttano, che non si tirano indietro.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, questo almeno intellettualmente, emotivamente, non possiamo non provarlo per queste zebre. Ci hanno fatto innamorare. E come tutti gli amanti sappiamo anche perdonare alcuni difetti.
The bad
Pessimismo e fastidio. Notiamo che dietro il movimento azzurro c’è più pessimismo rispetto al solito. Vero che le rare vittorie non contribuiscono ad alzare il morale. Vero che il dato “oggettivo” del campo dice che comunque siamo indietro rispetto ad altri movimenti.
Però ragazzi, dai, un po’ di gioia: vedere l’olimpico più vuoto e con metà esteri, vedere i commenti dei colleghi blogghisti impostati sempre a quel disincanto un po’ autodepressivo, leggere le quote, ascoltare i dibattiti sui rinnovi di sponsor e tv (al ribasso), sentire le beghe interne del nostro piccolo mondo, leggere le solite critiche al Gavazzun. Insomma, dai, un po’ di brio santo cielo. Manco le birre di Natale vi hanno scosso un attimo? O non vi siete concessi nemmeno una Hibernatus “perché l’ho già provata l’anno scorso”?
Regà non confondiamo realismo con disperazione, non riempiamoci le tasche di quella tremenda cosa che è la “disillusione”. Perché dietro alla disillusione c’è la fine del divertimento: piuttosto sostituiamola con un po’ di ironia come fece quel simpatico gestore di Airbnb che diede la sua soffitta a Cardiff al sottoscritto scrivente e che dopo un circa 70 a poco per loro disse “La vostra meta è stata bella”.
Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia
Ci siamo un poco stufati del kilorugby, ormai imperante nel mondo rugbystico, soprattutto nell’emisfero nord. Anche nazioni che avevano belle piattaforme di fantasia ci si stanno convertendo, pensiamo alla Francia, il cui rugby champagne ora sta tristemente virando verso un tremendo e tipico rugby corri&sbatti.
Ci siamo un poco stufati di una tipologia di gioco che elimina il gioco, di tecnica largamente trasfigurata in potenza. Vediamo dei cubotti muscolosi che partono e di tanto in tanto sfondano e dopo si corre un po’ e si fa meta. Tante realizzazioni arrivano così: ma il nostro rugby, quello che ci piace, è quello della tecnica delle fasi statiche, dell’intelligenza del piede educato che esplora e trova lo spazio, del Carlo Canna pazzoide, degli off load e del rugby totale di Bradley.
Quando vediamo quei momenti, un Gega che schiaccia dopo un carretto orchestrato divinamente, un Minozzi che cambia direzione e si beve tre masse di quadricipiti, un Boni che sbaglia l’offload e “causa” una meta, ma, dannazione, ci prova, un Canna che fa un sottomano tipo “una pizza al sei”. Ecco in quei momenti ritroviamo il rugby che ci piace. E tante volte accade ultimamente più con squadre italiane che estere.
Italiani da far rientrare
Un po’ di nostri bicipiti in fuga da cercare di riportare da noi. Due nomi ci vengono soprattutto in mente: Joshua Furno, che nel campionato domestico neozelandese ha fatto bene e ha dimostrato di essersi ripreso dagli acciacchi fisici della scorsa stagione. Seconda e terza, sarebbe utilissimo in casa Zebronia ma anche a Treviso se, come si legge, perderà alcuni giocatori di ottimo livello come Douglas.
Derrick Appiah: ha girato in Europa negli ultimi anni collezionando pochi minuti. Perché non tornare a casa dove a pilone destro abbiamo anche dei problemozzi notevoli dovendo far adattare gente come Traoré (che per altro magari servirebbe in dalle parti di Parma visto che c’è il solo Lovotti a tirare il carretto). Cerchiamo di distribuire bene i nostri talenti (pensiamo a Zanusso, un po’ uscito dai radar; al prossimo futuro Rimpelli) e far rientrare quelli che all’estero trovano poca gloria.
La prima linea di piloni Appiah-Traorè era in under un bel vedere, speriamo di ritrovarla anche a livello dei seniores.
Foto copy Stefano Del Frate. Flikr, sito.
Manuele Grosso