Cosa fare dello Scudo? Di fronte a quest’ultima semi-clandestina giornata di Continental Shield sorge un dubbio, non certo inedito, riguardante la funzione e le prospettive della terza coppa europea.
Lo Shield è una manifestazione affascinante e potenzialmente preziosa per la diffusione del rugby nel continente, ma allo stato attuale sembra attanagliato da un alone di disinteresse a mo’ di spessa ragnatela.
Pubblico: secondo il tabellino di Petrarca-Belgium Barbarians ieri all’Argos Arena erano presenti 450 spettatori, un terzo della media registrata quest’anno in Top 12 dal club petrarchino. A Roma per Fiamme Oro-Loco Tbilisi erano in 400, più in linea con la media (600) del club cremisi.
Visibilità istituzionale: ieri la FIR ha pubblicato un report sulla vittoria in Challenge del Benetton, uno sulla vittoria delle Zebre, uno sulla giornata di Coppa Italia. Nulla sul Continental Shield.
Eppure Federugby è ufficialmente indicata come principale organizzatrice di questo torneo, con collaborazione di EPCR e Rugby Europe. Su www.fedrugby.it non è presente una sezione dedicata ai risultati della competizione. Il sito web di EPCR, board organizzatore di Champions e Challenge, fino alla scorsa stagione riservava allo Shield una paginetta svogliatamente compilata; in questa annata è stata creata un’apposita e meglio curata sezione www.epcrugby.com/continental-shield
Audience: anche i dati televisivi non sono eccelsi. Parliamo di televisione in senso lato (tele visione=visione da lontano), poiché nessuno degli incontri di questa edizione è finora stato trasmesso da un canale tv classicamente inteso. A propagarli on line è il sito italiano The Rugby Channel, che ha ora stretto un accordo con Sky per mandare le partite anche in tv, in differita, ma su uno di quei canali specializzati che sul telecomando stanno attorno al numero 821 (canale 814 del bouquet Sky, per la precisione) e che ben pochi, crediamo, arrivano a consultare. Su youtube l’audience attesta lo Shield su un livello inferiore a quello del Top 12: 2.100 visualizzazioni per la partita di Padova, 3.300 per quella di Roma, a fronte di una media campionato attorno alle 4.000 visualizzazioni a partita (ma si deve specificare che il Top12 è trasmesso dal sito FIR mentre lo Shield è trasmesso appunto da The Rugby Channel, differenza che potrebbe influire sui dati).
Nazioni partecipanti: appena tre in questa edizione. L’Italia con le quattro semifinaliste di Eccellenza, il Belgio con una selezione di giocatori nazionali e la Georgia con uno dei propri top club. Spagna e Portogallo hanno rifiutato dopo aver soppesato pro e contra; la Germania poteva schierare un valido club come l’HRK ma una complicata storia di conflitto di interessi li ha spinti a rinunciare; Romania e Russia hanno ricevuto, a quanto si dice, un veto da parte del comitato organizzatore (cioè della FIR, par di capire) poiché entrambe già impegnate in Challenge Cup (la logica di questa motivazione risulterebbe un po’ traballante); le altre nazioni europee non sembrano possedere club all’altezza della competizione. E’ chiaro che un torneo con sole tre nazioni coinvolte, per di più slegate culturalmente e geograficamente una dall’altra, non può suscitare interesse nel resto del Continente.
Fuliggine istituzionale: sappiamo che il torneo è organizzato dalla FIR in collaborazione con ECPR e Rugby Europe poiché ciò è stato dichiarato da EPCR; ma com’è formato il comitato organizzatore, chi ne è il presidente, chi ha deciso (se ciò è realmente avvenuto) di non ammettere quest’anno Russia e Romania? Chi decide di iscrivere quattro club italiani ma al massimo uno per ognuna delle altre nazioni? Forse alla base di questi misteri non c’è malizia ma semplicemente pigrizia nel rendere trasparente l’organizzazione e la convinzione (verosimilmente corretta) che a pochi interessino tali dettagli.
Passaggio in Challenge: il Timisoara e l’Enisei, cioè le squadre romena e russa qualificate dallo Shield della passata stagione, hanno perso in questa stagione di Challenge Cup tutte e tre le partite finora disputate, con uno scarto medio di circa quaranta punti. Tutto ciò nonostante la squadra russa abbia dimostrato nelle ultime stagioni di essere superiore a ogni altra partecipante al Continental Shield, italiane comprese.
L’insieme di queste considerazioni spinge a domandarsi quali siano la funzione e il futuro di questo Shield poco apprezzato dal pubblico, snobbato dalle tv e semi-ignorato perfino dalla FIR, al quale partecipano squadre di sole tre nazioni e che come premio dà la possibilità di essere strapazzati per sei partite in Challenge nella stagione successiva.
Qual è il fine? Qual è il bilancio economico?
Sappiamo bene che attirare spettatori e generare interesse intorno a una competizione è impresa molto difficile, ma a volte sembra che gli organizzatori nemmeno la tentino questa impresa. Partendo dalle cose più facilmente attuabili, non potrebbe Federugby riservare al torneo una sezione sul proprio sito, ospitare il live stream delle gare interne come fa con il Top 12 e dedicare al torneo più enfasi e più spazio di quelli –quasi inesistenti- che gli ha concesso fino a questo momento?