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The Good & the bad

Benetton treviso
Scritto da Rugby.it

E quando il nostro morale era ancora più sotto i tacchi, inaspettato, ecco un piccolo colpo di tromba, uno squilletto, una scarica di defibrillatore per farci rifiatare un po’. Di cosa parliamo?

The good

Benetton Treviso. Quanto ne avevamo bisogno! Una stagione veramente deprimente per le italiane che ha avuto un buon acuto settimana scorsa. Mentre a Parma si continuava con la solita litania dei cinquantelli, a Treviso i Leoni tornavano tali per una sera, dando un ruggito clamoroso sugli Ospreys che da tutto il torneo viaggiano nei piani alti della classifica.

Una bella vittoria di cuore, con un ottimo pack e grande sacrificio (meta salvata da Lazzaroni, Zani che si fa 80 minuti, Minto che placca come un dannato, giusto per citare tre casi). E una dedica finale molto bella al proprio coach che, nella rarità della vittoria, era fuori casa, in Nuova Zelanda per un lutto familiare. Speriamo che questa vittoria faccia primavera, anche perché la primavera è già iniziata pure dal punto di vista cronologico, e se ne porti dietro altre, molte altre.

The Bad

Ci chiediamo spesso se più passano gli anni e più quel senso di moralità (precisiamo, moralità, che è ben diversa dal moralismo) che dovrebbe accompagnare il nostro sport vada piano piano affievolendosi. Ci sono situazioni che innegabilmente sono un segnale di regressione: insulti agli arbitri, climi “roventi” tra “tifosi” sui social, comportamenti dei giocatori non consoni, diffusione del doping. Abbiamo recentemente letto di due campionissimi downunder arrestati mentre acquistavano cocaina. Ora leggiamo di alcuni giocatori di Grenoble accusati addirittura di stupro. Come sempre in questi casi non siamo noi i giudici ma lo saranno i magistrati. Però a livello generale i segnali di pericolo ormai sono diventati ben più che “alert” estemporanei e casuali: chi dà la colpa al professionismo, chi ai soldi, chi alla fama.

Forse una base da cui partire potrebbe essere l’educazione che questo gioco dovrebbe portare con sé, fondata su due semplici concetti: sacrificio e rispetto. Quando ti monti la testa potrai anche essere il migliore al mondo in campo ma prima o poi cadrai nella scempiaggine di chi quelle due paroline le ha dimenticate. Sacrificio e rispetto. Due cose entrambe faticose, principi regolativi kantiani forse irraggiungibili se considerati in senso assoluto ma che devono restare criteri regolativi da salvaguardare.

Situazioni da sistemare o nuove opportunità di gioco?

Si può non contestare una maul? Certo. E se la tua squadra resta nel carretto già costituito, con palla che è passata alla seconda linea (e quindi non può avanzare perché costituirebbe un muro) aspettando la contesa? Beh, dopo un po’ ti fischiano una mischia a favore perché nel rugby il surplace non è previsto e quindi, prima o poi (più prima che poi, al massimo dopo 15 secondi di stallo) si deve riprendere a giocare. Ma è giusto non contestare le maul in nessuna maniera, proprio restando fermi così a qualche metro dagli avversari?

Molti diranno di no, potrebbero definire chi non contende un codardo, uno che rinuncia a combattere.

Il rugby è fatto di tante situazioni complesse e di regolamenti con svariate interpretazioni e “scappatoie”. La maul dovrebbe essere una situazione di gioco che si viene a creare e a volte è creata dagli attacchi o si forma con gli scontri con le difese. Gestita bene porta al turnover per la difesa che tiene alto l’attaccante e incassetta la palla oppure che sa far bloccare il carretto anche dopo gli stop chiamati dall’arbitro. Gestita bene dall’attacco diventa un fortino avanzante quasi inespugnabile. Ecco perché è una di quelle situazioni temute, che molti vogliono anche evitare. La situazione creatasi in Francia che vedete qui sopra è straniante ma comunque bella, perché dello sport ovale fanno parte anche inghippi, lacci, lacciuoli, imboscate, trappole e trappoloni. Che non sono furbate come dicevamo qualche settimana fa a proposito della fox italiana, ma “intelligentate”. Quindi, se sei inferiore e stai nelle regole, ben venga tutto, anzi ravviviamo un attimo la monotonia di certe situazioni e spingiamo gli altri a trovare soluzioni innovative a nuovi problemi.

Un trequarti che sa correre

Imparare a leggere, a scrivere, a fare di conto. Va tutto bene. Ma imparare a gestire in modo armonico il nostro corpo, come stare seduti, come camminare, che postura corretta avere, come correre: non sono cose altrettanto importanti? Imparare – inteso a livello puramente conoscitivo e procedurale – non dovrebbe andare di pari passo con acquisire quelle migliori disposizioni atte a rafforzare il nostro benessere, presente e futuro?

Quando arrivate a 35 anni e iniziate a scricchiolare, quando state seduti e dopo un’ora la zona lombare brucia come il peperoncino sotto la lingua, quando un’ora di tennis sembra una maratona, ebbene non sempre è solo una questione di fitness e preparazione atletica. A volte il polso a tennis ti si gonfia perché tieni male l’attrezzo, a volte la schiena ti fa male perché magari la maestra della primaria ti ha corretto l’impugnatura della matita ma non la posizione globale del corpo (che per altro è un fattore da considerare come possibile campanello d’allarme per la disgrafia). Quando il nostro insegnante di educazione fisica delle medie mostrava terzo tempo o il salto degli ostacoli ci dava dei consigli per fare il gesto in modo più armonico ed efficace o ci diceva solo “cosa” fare?

In sostanza: perché non dare pari dignità pedagogica a quegli elementi di controllo e espressione corporea che sono ideali per una crescita corretta nell’età dello sviluppo e, indirettamente, si fanno skills sportive da usare poi efficacemente nei vari campi di gara? Ecco, vedendo questa bellissima meta dell’ala Jaguares abbiamo immaginato che tutta quella bravura di corsa non fosse solo talento ma anche un duro lavoro di sviluppo e correzione fatto negli anni, di costruzione e adattamento graduale al meglio nelle tecniche di corsa (e non solo). Tante volte vediamo i nostri trequarti fare finte di corpo tipo giocolieri, tantissime volte li vediamo andare a sbattere dritto per dritto: educare i nostri bimbi alla “corporeità” (propriocezione, postura, attività fisica, alimentazione ecc.) con tutto quello che ne consegue può essere un buon inizio, per costruire fin da piccoli non solo futuri sportivi ma in generale persone che stanno bene un po’ più a lungo.

Foto: Stefano Del Frate. Flikr, Sito web.

joseph k.

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