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The good & the bad

l'aquila rugby
Scritto da Rugby.it

Le Accademie di formazione… di bulli. La proposta di un rugby italiano Panza&Sostanza. E un derby che fa rinascere l’ovale abruzzese.

A tre settimane dagli All Blacks in coppa prendiamo circa 125 punti di passivo e Mogliano perde in Russia. Noi siamo ottimi ottimisti ma, ecco, i segnali all’orizzonte non sono esattamente incoraggianti…

The Good & The bad

Sì, questa settimana, per la prima volta nella (breve) storia di questa rubrica dobbiamo “unificare” il premio per il meglio e quello per il peggio. Premi che non andranno, insieme, alla stessa persona, ovviamente: semplicemente ci prendiamo una piccola parentesi per parlare con un po’ più di approfondimento di una bruttissima storia.

Nell’Accedemia di Mogliano un ragazzo avrebbe per 90 giorni subito angherie pesantissime (si parla anche di molestie sessuali) da parte di suoi compagni di squadra e, teoricamente, di vita. Il tutto sarebbe avvenuto in una stravagante interpretazione del “concetto” di matricola, per cui – per dire – in nazionale si rapa a zero il neo-cappato.

Abbiamo già detto che personalmente odiamo ogni genere di matricolaggio, anche il più blando, a meno che non sia completamente goliardico, totalmente innocuo e soprattutto integralmente accettato anche da chi “subisce”. Ovviamente quanto successo a Mogliano va ben oltre la goliardia e non a caso è sotto giudizio dei tribunali della Repubblica. Perché – se tutte le accuse saranno confermate – far passare delle nottatacce a ragazzini con solo un anno di meno di te, pestandoli, costringendoli a umiliazioni fisiche e sessuali è una cosa che semplicemente ributta. Il nostro sport era valori come rispetto, dignità, fatica, questi valori spesso li abbiamo fatti diventare da solide realtà a fantasmagorie utili al marketing e per raggiungere risultati (che per altro sono ampiamente latitanti) abbiamo, forse, chiuso entrambi gli occhi.

Perché non ci si venga a dire che se un ragazzo (il good della settimana) trova il coraggio di denunciare, insieme alla famiglia, intorno a lui nessuno può aver realmente visto e sentito niente. Compagni, genitori, docenti, allenatori, accompagnatori, bidelli (i tanti Bad di questa storiaccia), nessuno ha visto, nessuno ha denunciato, nessuno si è frapposto, nessuno ha appoggiato e difeso il debole. La Federazione parla di “casi singoli” e così sembra in parte lavarsene le mani quando queste strutture, che dovrebbero essere di “formazione”, sono sotto la sua responsabilità. E non si parla di “una tantum” ma di comportamenti che sarebbero stati reiterati per tre mesi, nell’assenza di sorveglianza serale, tra ragazzini di 16-17 anni lasciati abbandonati in strutture chiuse dove alcuni capetti avrebbero dettato la loro assurda legge. Il movimento spende un sacco di soldi per sovvenzionare questi ambienti dove non si creano né buoni giocatori né buoni studenti (i protagonisti sarebbero anche dei ripetenti). Il movimento tollera di chiudere gli occhi per avere – forse – 2,3 giocatori “meno peggiori” in più in rosa? Se le accademie sono questo, allevamenti senza il mandriano, campi dove si coltiva in modo intensivo distruggendo i terreni, se non si riesce a tenere a bada 30 ragazzini, allora serriamo tutto e spendiamo diversamente i soldi.

Vitesse o non vitesse? Questo è il problema

Cambiamo argomento. I disastri di coppa, che si uniscono ai disastri in trasferta in Pro 12 dei nostri team, ci hanno portato a fare un ragionamento. Da Brunel in avanti si è predicata una volontà di passare ad un rugby fatto di “vitesse”, come la chiamava il vecchio Jacques, velocità. Anche O’Shea, anche Mr Crowley a Treviso hanno dichiarato che la strada da percorrere è quella di un rugby più veloce, frizzante, che “diverta”. Le nostre squadre ci stanno provando: più possesso alla mano, tentativi di gioco più veloce, tentativi di off load, meno uso del piede per il territorio. Insomma una sorta di volontà di giocare a “rugby Prosecco”, facendo più mete, attaccando, provandoci anche a costo di correre molti rischi.

Chi scrive ha iniziato ad avere un timore: che questo genere rugby non si attagli propriamente al nostro, pardonnez la terribile espressione, materiale umano? Che i nostri giocatori, che non nascono esattamente in un ambiente propenso alla pratica rugbystica, che i nostri giocatori che non sempre eccellono in skills personali anche dopo anni di Accademie e Alto Livello, che i nostri giocatori, insomma, forse siano più adatti ad “un altro tipo” di rugby? Forse possiamo essere più efficaci con un sano rugby anti-vitesse, fatto di lentezza, lentezza, lentezza? I georgiani giocano, o fanno finta di giocare, a rugby champagne? Sono compagini ruvide, senza i Dan Carter o i maghi Hernandez, ma sono team che il risultato spesso lo portano a casa proprio a suon di difendi, sbatti e marca tutto.

Riassumendo: che un rugby vecchia maniera, fatto di dominio totale di fasi statiche, guadagno di punizioni e territorio, marcatura di ogni possibile punizione, rallentamento di ogni ruck, con difese solide e geometriche, magari avanzanti, ma senza reverse e spie. Che un rugby che non abbia paura di “non giocare”, di usare il piede esclusivamente per guadagnare metri. Che un rugby di panza&sostanza ci sia più adeguato?

Non è scimmiottare quello che non possiamo essere il pretendere di farci All Blacks senza avere il Black di partenza? Possiamo ad essere All Light Blu e trovare una via nazionale a questo strano, meraviglioso sport?

2500 persone

L’Aquila – Gran Sasso: 2500 spettatori per la serie A. Spettatori che spesso non si vedono a Parma e Treviso per la Celtic. Un bel derby abruzzese in uno stadio Fattori che è tornato per un giorno a vedere le affluenze dei giorni migliori. Questo è il rugby che ci piace, legato al territorio, che richiama passioni e appassionati e fa vedere anche buone cose in campo (risultato stretto finale 26-20 per L’Aquila).

Joseph K.

 

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