Tre giovani Good, un destino cattivo. Quando saper giocare a basket è utile per saper giocare a rugby. E una proposta al ministro dell’istruzione: passiamo dall’ora di educazione fisica alle ore di educazione sportiva.
Avete cominciato le processioni verso il Santuario dell’Ovale? Avete iniziato i riti, “corno, bicorno” a luna calante per propiziare i fati? No, perché tra poco più di un mese ci aspetta l’armata delle tenebre, i nerovestiti che in questo momento danno facilmente 40 punti al Sudafrica e all’Australia.
Ci sentiamo un po’ come i ragazzini al primo giorno di Liceo quando ancora non è passata la scottatura della spiaggia e arriva già un compito in classe a sorpresa. Puntare alla sufficienza? Forse già solo la sopravvivenza non sarebbe male; però nell’angolino più nascosto della testa, tra amigdala e ipotalamo, resta sempre un vocino sottile che dice “spera”. Del resto il rugby non è fatto per matti e sognatori?
The Good
La premiata ditta Maxime M’Banda&Federico Ruzza. Forse questa settimana in cui Treviso ha vinto e quasi preso il bonus contro Newport il Good sarebbe stato più giusto darlo a un Leone. Ma sono un po’ di partite che tra i giocatori più positivi che vediamo nelle Zebre ci sono dei giovanotti. Due di essi hanno personalità e dopo pochissimo tempo nella lega celtica già sembrano veterani.
Parliamo di quelli che probabilmente saranno i Parisse e gli Zanni del futuro, e sappiamo di esporci notevolmente data la grandezza sportiva dei due termini di paragone. Due ragazzi che non abbiamo mai visto arrendersi e ciondolare mogi mogi per il campo ma che lavorano duro, in particolare in difesa. La crescita che li aspetta è ancora lunga e la strada da percorrere tanta, ma con loro si ha la sensazione che quanto meno l’idea del tracciato sia già in testa, ben precisa, gli scarponi preparati e lo spirito pure. Come quando un buon orientamento e una mappa sono già un ottimo avvio del viaggio. E che il vostro sia lungo, men.
The Bad
Il destino cinico e baro. Leggiamo sulle cronache che il pilone Nicola Quaglio, per altro ultimo di una dinastia lunghissima di rugbysti di livello, ha subito un infortunio che lo terrà fuori dal campo “per un periodo di riposo” (riportiamo letterale dal comunicato del suo team, tempistiche non meglio specificate). Nicola si è rotto la parete laterale dell’etmoide, che non è un eroe omerico dell’Iliade ma un ossicino che sta tra cranio e naso. Malefico destino di un giocatore che, anche lui come M’Banda e Ruzza, sta già dimostrando ottima confidenza con la categoria più alta, dando buonissime prestazioni. Ma come si sa, se la fortuna aiuta i forti, la sfortuna si accanisce sui fusti. Non abbiamo dubbi che questa sia solo la prima cicatrice di una lunga serie di successi. Forza Nicola!
L’infame replay
La distanza tra una bella giornata e una pessima giornata, tra il momento più bello della vostra vita e un secondo per cui a scuola poi tutti saranno pronti a fare stupide battute. Campionato nazionale neozelandese, il calcio di inizio è fatto dopo che il “ball boy” porta in campo la palla. Per lui è un piccolo momento di gloria, di quelli che nella tua testa ricordi per sempre e che ti sei anticipato per giorni a casa. Poi succede il fattaccio: inizi a correre e quelle stupide scarpe a suola lisca – maledetto me che le ho messe oggi – scivolano e caschi a terra in stile sacco di yuta con patate americane. Il giorno dopo a scuola ci saranno sicuramente gli imitatori, gli stupidi che daranno soprannomi che magari dureranno per anni. Lo sapete tutti, nello spietato mondo dei pre-adolescenti funziona così, come ne La banda dei brocchi di Jonatan Coe, basta solo che ti chiami Benjamin, che in latino è Beniaminus e diventi per tutti Minus, Minus Habens. Figurati se caschi a pera in mondovisione.
Poi ci si mette il moltiplicatore della tecnologia, il maledetto replay che amplifica quella caduta. Ma la cosa bella è che tu, testardamente, ti rialzi e corri più forte di prima. Chissene, capita a tutti di cadere: ma in quel campo ci sono entrato, ci ho corso, ho fatto iniziare la partita.
E magari, dammi qualche anno, e a differenza vostra, ci ritorno.
Se vuoi giocare a rugby impara a giocare a basket
A volte si vedono omoni giganti che hanno le movenze di torri impietrate, si muovono ma paiono sempre paralizzati. In qualche caso invece anche il colosso ha la danza nella mani, sa inventare tratti di delicatezza sublime. Nel video qui sopra vedete uno di quei casi: un flanker a inizio corsa è talmente sgraziato e goffo che pensi “ora cade”. E invece si inventa questo passaggio stile Tony Parker, una di quelle cose mirabili no look che escono chissà da quale cilindro magico. Forse il segreto per essere buoni rugbysti è avere anche familiarità con i gesti di altri sport e con lo sport in generale. Averne provati tanti, saper utilizzare le tecniche altrui e declinarle al meglio, quando più serve.
Ci sono tanti rugbysti che in passato hanno fatto altri sport, un esempio era Castrogiovanni che era transitato proprio dal basket, un altro esempio è Odiete che arriva dall’atletica e se ne potrebbero fare altri. Sarebbe molto utile che nelle scuole si praticasse un vero pacchetto di ore di cultura sportiva, che unisse più discipline sportive a una vera disciplina etica, di sforzo per raggiungere un obiettivo, di costruzione di un gruppo, di obbedienza a regole comuni e, ovviamente, divertimento.
Ai nostri tempi purtroppo così non era e avevi “insegnanti” che sentenziavano che il terzo tempo del basket si chiama così perché consta di tre passi. E altri che si perdevano in mirabolanti conteggi metrico-decimali, tra test di Cooper e tecniche esatte di tiro a pallamano basate sul calcolo goniometrico dell’angolo corpo-braccio. Un appunto per una futura nuova Buona Scuola: aumentare le ore a disposizione, e passare dall’educazione fisica all’educazione sportiva. Sono due cose ben diverse.
Joseph k.
Foto copy Stefano Del Frate (https://www.flickr.com/photos/stefanodelfrate/, http://www.stefanodelfrate.com/).