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The Good & the bad

italia rugby under 20
Scritto da Rugby.it

Essere o chiaramente non essere, questo è il dilemma. E nello sport ovale 15 ottimi solisti fanno una bella sinfonia? E il peggior calcio di tutti i tempi chi l’ha mai fatto (non ci crederete, non è un pilone)?

Quanto vorremmo essere in vacanza: basta rugby per un po’, qualche cima nevosa da scalare, un bel tracciato da qualche ora di sudore, un ghiacciaio sul Rosa, il rifugio Gniffetti dove bersi la grappa a luglio mentre mammà ti dice che a casa ci sono 35 gradi. Non pensare più a questo sporco ovale che ultimamente rimbalza stortignaccolo, riposare un attimo i precordi affannati, rifugiarci nel silenzio di quell’angolino di speranza che alberga sempre nelle nostre teste eccitate di fango e ruck.

Perché diciamo questo, noi che, come tutti voi, siamo malati di questo meraviglioso sport? Perché il grado di soddisfazioni è ormai talmente ridotto al lumicino che anche il più grande ottimista, quello che vede sempre il bicchiere riempito a metà come “mezzo pieno”, si sta convertendo alla filosofia razionalista, quella per cui il bicchiere non è né mezzo pieno né mezzo vuoto ma solamente troppo grande per il liquido che contiene.

The good (and the ugly win)

A win is a win dicono oltre Manica. Soffrendo, facendo solo due mete carrettate, è arrivata la tanto attesa vittoria con gli Stati Uniti, prima del nostro tour nelle Americhe. I nostri novelli Colombi e Vespucci hanno messo cuore in campo, in una partita che non è stata bellissima, che è stata trasmessa ad orari impossibili e che vedeva in campo un’altra buona infornata di esordienti (Maxime M’Banda, Sebastian Negri, good di questa settimana in rappresentanza dei 23 compagni tutti).

Vedere la faccia felice colma di gaudio dei Nostri (che non a caso abbiamo messo come copertina della pagina Facebook di questo illustre sito) ci fa pensare che a win si more than a win, ed è il parere dello stesso coach O’Shea: vincere abitua a vincere, crea la mentalità che ti farà vincere di più in futuro, quindi meglio sfangarla, anche male, anche di pochissimo. Il bel gioco, si spera, verrà. Intanto mettiamo in saccoccia il risultato che per quanto ugly è comunque good.

The Bad

Non siamo allenatori, siamo chiacchieroni da bar, non sappiamo nemmeno lontanamente quanto debba essere complicato dirigere un team professionistico o una selezione che magari vedi una volta ogni tre mesi per 2 giorni nei ritagli di questo e quel campionato. Però questa volta dobbiamo dare un The Bad ad un grandissimo azzurro, Ale Troncon. La sua squadra dopo tanti anni di direzione tecnica non sembra ancora “sua”: fatichiamo a vedere uno spartito messo in campo e non capiamo certe scelte, tipo far giocare con la Scozia i piloni titolari per quasi 80 minuti, in una partita sostanzialmente inutile, per poi averli spompi a farsi arare dalla mischia georgiana pochi giorni dopo.

Contro la Georgia il nostro gioco d’attacco è sembrato una cosa del tipo: pick&go per tutto il primo tempo, passaggino corto al primo ricevitore nel secondo tempo. Raramente abbiamo visto linee di corsa efficaci, qualche giocata, qualche incrocio, qualche invenzione, qualche guizzo. Magari Tronky non c’entra nulla, magari è stata una partita andata così e contro il Giappone nella finale per non scendere nel Trophy torneremo a giocare ad un rugby più strutturato e armonico, però la sensazione è spesso di vedere in campo 15 solisti che suonano da soli. Qualcuno direbbe: è il segreto del jazz. Altri, che conoscono il jazz, direbbero: è una jam session venuta male.

Il crampo dell’atleta

Abbiamo visto un georgiano quasi svenire in campo contro Tonga, altri abbattuti dai crampi nella partita contro l’Italia, con contorno di urletti di dolore, un dolore che conosciamo bene data la nostra familiarità con magnesio, potassio, banane, integratori e tutto quanto sia in grado di limitare quel fastidioso indurimento muscolare. Il crampo è il momento in cui anche un atleta super allenato ha passato il limite, ha fatto circolare troppo acido lattico nel caseificio. A volte un crampo indica cattivo allenamento, segnala la tua pretesa di fare qualcosa che il tuo corpo non è in grado di fare, tipo giocare 2 ore e mezza a tennis contro un 15enne al torneo amatoriale del circolo del paese (esempio puramente casuale e non personale…). A volte indica che hai giocato spendendo ogni singola goccia di te: non è bello vedere uno che soffre ma forse la sofferenza del crampo ha una sua estetica connessa con la lotta e la resistenza morale che tenta di andare oltre quella fisica. E dunque, ci piace.

L’essere e il non essere (chiaro)

Qualche giocatore di rugby finisce a giocare a football americano. Qualche allenatore di rugby usa le tecniche del football americano, in particolare nelle linee d’attacco, per costruire blocchi certamente volontari che aprono le linee di difesa e permettono di creare buchi. Il rugby nflizzato, profondissima iattura per l’ovale a parere di chi scrive, è ormai una realtà contro cui piccoli Sancho Panza cercano di lottare.

In Italia-Georgia under 20 il TMO è stato chiamato in causa per un’ostruzione che sfidiamo ad aver visto live, quindi bravo l’arbitro ad accorgersene. Alle immagini rallentate l’ostruzione era, o almeno è sembrata, palese: il pilone georgiano blocca allargando i gomiti e pigliando in un grande abbraccio amoroso 2 difensori italiani. Ma il giudizio dell’arbitro a video, ovviamente insindacabile, è stato: “non c’è chiara ostruzione“.

Forse non ci intendiamo su quel “chiara”. Ma se ci mostrate un’immagine di Letitia Casta diciamo che è chiaramente una bella quagliona. Se ci mostrate una sequenza di XXX o di OOO a tris vi diciamo che è chiaramente una vittoria (o una sconfitta). Se ci dite cosa ne pensiamo di Dante, la risposta “è chiaramente sublime” crediamo che liberi da ogni dubbio.

Quindi, l’essere e il non essere, cosa chiaramente è e cosa chiaramente non è, non dovrebbero essere difficili da capirsi.

Eppure mentre pensavamo tutto questo ci siamo arrecati dal nostro spacciatore di kebab, quello che ci rifornisce da una decina di anni di piccante. Solite 4 chiacchiere, scopriamo per la prima volta che il suddetto non è affatto turco come tutto avrebbe chiaramente fatto pensare, dalle sigarette che fuma in pausa ai baffoni giganti sul viso, al fatto che sì, beh, insomma, tutti i kebabbari sono turchi… Egli è pachistano. E nonostante pare abbia 30 anni dice che ha 3 figli e il più grande ne fa 18 quest’anno…

Poi la seconda illuminazione: il cuscus che hai mangiato ieri, quello con le scritte arabe sulla scatola, con le indicazioni di cottura in francese, non è chiaramente marocchino. Viene prodotto a Campochiaro, provincia di Campobasso, Italia.

Allora abbiamo capito un po’ di più i nostri amici arbitri:  quel “clear” che viene usato per accordare o negare certe cose, in particolare dai TMO non è sempre così clear, è una banale parola con cui si tenta di rafforzare un giudizio, una parola che dici più a te stesso per incoraggiarti a decidere piuttosto che per denotare qualcosa che è veramente così. E decidere non è mai facile…

Per favore, non calciare quella palla!

A volte calciare è l’ultima cosa che dovresti fare, in particolare se non sei molto ferrato in questo fondamentale… Fa piacere che in questa top 5 di calci disastrosi non ci sia nessun azzurro, per una volta siamo contenti di essere… fuori classifica.

Foto copy Stefano Del Frate (https://www.flickr.com/photos/stefanodelfrate/, http://www.stefanodelfrate.com/).

joseph k.

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