Rugby World Cup 2019

Bigi: “Eccezionale la Coppa giapponese, sarebbe splendido averla in Italia. Parisse? Il suo esempio sarà duraturo”

Scritto da Rugby.it

(da Il Resto del Carlino di Reggio Emilia)

Ormai da molti giorni Luca Bigi ha lasciato i paesaggi del monte Fuji per quelli del Crostolo ed è tornato nella sua Reggio Emilia, dopo la fine della lunga ed emozionante avventura Mondiale in Giappone. La nazionale azzurra ha vinto due partite su tre, ha visto la quarta annullata a causa di un tifone ed è rientrata in patria con un rendiconto tutto sommato positivo.

Bigi, partiamo dalla fine del vostro percorso iridato, la partita contro la Nuova Zelanda annullata a causa di un tifone. L’inviato del “Messaggero” ha rivelato che saresti stato, ancora una volta, titolare: ti brucia aver perso l’occasione di misurarti in un Mondiale con gli All Blacks?
“Ovviamente è stata una notizia che non avremmo voluto ricevere ma alla quale eravamo preparati. Fin dall’inizio del Mondiale tutte le federazioni erano state rese edotte del fatto che alcune partite avrebbero potuto essere annullate, perché ottobre e novembre in Giappone costituiscono la stagione dei tifoni. Il dispiacere in sé è stato grande, per molti motivi: perché affrontare gli All Blacks al Mondiale sarebbe stata un’esperienza speciale, perché in teoria dovevo essere titolare, e soprattutto perché ci sarebbe stato il ritorno in campo di Leo dopo la grande corsa contro il tempo per recuperare dall’infortunio nel Sei Nazioni. Però non posso farne una colpa a nessuno, la salvaguardia dei tifosi e di chi lavora alla macchina organizzativa della Coppa del Mondo viene prima di tutto. E’ vero che, come ha detto Sergio (Parisse), avremmo potuto giocare anche a porte chiuse, sul campetto della chiesa; però per rispetto al paese organizzatore e alla grande risposta che i giapponesi hanno dato a questa Coppa del Mondo secondo me è stato giusto annullare la partita”.

E’ vero, come hanno scritto alcuni quotidiani stranieri, che Ghiraldini, all’ultima partita della carriera, ha pianto quando ha saputo della cancellazione del match?
“E’ stato un momento toccante per tutti. Sappiamo quanto Leo abbia lavorato duro, quanti enormi sacrifici abbia affrontato per cercare di essere pronto a tornare in campo in questa sua ultima Coppa. Ma sarebbe stato l’ultimo match non solo per lui ma per ognuno dei tre senatori: Sergio, Ale, Leo. Io non so quali intenzioni loro abbiano, se ci saranno altre opportunità in azzurro, ma in ogni caso quella doveva essere per tutti e tre l’ultima partita in una Coppa del Mondo e quando lo staff al termine dell’allenamento ci ha comunicato la cancellazione è stato un momento emozionante”.

I giapponesi sono davvero così accoglienti e gentili?
“La risposta è stata eccezionale, con stadi pieni e numeri record. Era la mia prima Coppa del Mondo e non posso fare raffronti ma a paragone di una semplice tournée la differenza è stata enorme: sia nell’impiego di risorse da parte di World Rugby sia nell’impegno delle persone, tutte squisite, che si prendevano cura di noi. La gestione dei tifosi e dell’intero evento è stata ottimale e non possiamo che invidiare queste capacità al Giappone”.

Una Coppa del Mondo sarebbe possibile a medio termine in Italia o ci manca ancora molto rispetto a uno spirito come quello nipponico?
“La Coppa del Mondo di rugby è un avvenimento a sé, è il terzo maggior evento sportivo planetario dopo Olimpiadi e Coppa del Mondo di calcio. Interesserebbe chiunque, non coinvolgerebbe solo i tifosi del Veneto o del nord ma le persone di tutta Italia; anche se culturalmente non abbiamo ancora la stessa inclinazione verso il rugby rispetto ad altre nazioni una manifestazione del genere calamiterebbe tutti, oltre a richiamare tantissimi tifosi dall’estero come si è visto anche in Giappone. Ci vogliono gli stadi, certo, e in questo il Giappone ha risposto alla grande. Sì, sarebbe molto bello avere una Coppa del Mondo in Italia, farebbe un gran bene anche al nostro movimento”.

Lei ha affrontato la colossale prima linea del Sud Africa che in finale ha “distrutto” l’Inghilterra: Mtawarira, Mbonambi, Malherbe. Anzi, ha affrontato pure Marx, Kitshoff e Koch poiché le è toccato rimanere in campo per tutti gli ottanta minuti. Cosa si prova a sapere di aver affrontato, testa a testa, i migliori prima linea al mondo?
“Al nostro livello affrontare i migliori giocatori del pianeta è cosa frequente. Nell’ultimo anno abbiamo giocato contro Nuova Zelanda, Inghilterra e Sud Africa, senza contare il Sei Nazioni e i tanti grandissimi giocatori che si incrociano, in altro contesto, durante il Pro14. Il Sud Africa ha questa formidabile prima linea con sei giocatori tutti eccelsi; anche dopo i cambi nel secondo tempo il livello della loro prestazione non si abbassa e questo si è visto anche nella finale, dove perfino un’Inghilterra apparsa egregia e ruvida nei set-up contro la Nuova Zelanda è stata spazzata via dall’evidente supremazia sudafricana. Una supremazia fisica e tecnica, perché ben sappiamo quanto la tecnica conti anche in mischia”.

Il famigerato episodio di Lovotti e Quaglio con il Sud Africa come lo spiega?
“Lovo e Bibi sono miei grandi amici e non posso pensare che ci sia stata volontarietà. Forse entrambi hanno sollevato Vermuelen senza accorgersi che il compagno stava facendo la stessa cosa dall’altra parte, perciò hanno percepito leggerezza nel gesto e questo non ha fatto comprendere loro all’istante quanto si stava compiendo. Vermuelen da parte sua ha leggermente accentuato l’azione, ma questo ci sta. Il cartellino rosso è sacrosanto, nessuna recriminazione, ma neppure nessuna accusa ai due giocatori da parte di noi compagni o da parte dello staff. E’ stato un errore, un errore grave, ma non possiamo lasciare che questo macchi la carriera di due giocatori che ben conosciamo come Lovotti e Quaglio. Anche perché non credo che quell’episodio abbia influito sul risultato; sono convinto che avremmo perso lo stesso”.

Notando alcuni particolari durante le partite in tv, nello specifico un paio di pacche scambiate in momenti di difficoltà, è parso che lei e Parisse abbiate un feeling particolare in campo.
“E’ normale che chi lancia le touche e il principale ricevitore di questi lanci abbiano un feeling un po’ più forte, in campo e magari anche fuori. Ma darsi una pacca, dirsi una parola di incoraggiamento è normale e frequente tra tutti i componenti la squadra; è un modo per complimentarsi con un compagno o per non lasciare che questo rimanga affossato in un errore”.

A volte si ha anche l’impressione che Parisse, giocatore molto orgoglioso, sconfini un po’ nella presunzione…
“Presuntuoso certo no. Ha un carattere forte, è un punto di riferimento nello spogliatoio da tante stagioni e si è preso responsabilità che nessun altro in questi ultimi quindici anni ha accettato. Subito alle sue spalle comunque ci sono altri grandi veterani come Ale Zanni e Leo Ghiraldini e poi sta crescendo una nuova leva di giocatori che vanno maturando anche grazie all’esempio di Parisse. Quando Sergio abbandonerà la nazionale, il suo ricordo continuerà ad aiutare il gruppo”.

Ha disputato una Coppa in crescendo, da quella touche persa contro la Namibia a due ottime prestazioni contro Canada e Sud Africa. Cosa ha pensato quando, al suo primo lancio in Coppa del Mondo, ha visto il pallone finire nelle mani dei namibiani e poi loro andare in meta dall’altra parte del campo?
“Non è questione di mia emozione. Nessuno vuole perdere una touche, è vero, ma è la risposta della squadra quella che conta, non la sensazione del singolo giocatore. Una touche persa, un placcaggio mancato, ci possono stare, è la squadra nel complesso che deve far fronte. Se dopo una touche andata male fai meta tecnica dall’altra parte capisci che la squadra c’è”.

Durante un’intervista alla Rai in Giappone lei è parso intenerirsi al ricordo di suo figlio e della sua compagna. Le è pesato molto stare lontano un mese e mezzo dalla famiglia?
“Un po’ ci siamo abituati, anche quando giocavo a Treviso o durante il Sei Nazioni sono capitati periodi di più settimane lontano da casa. Certo cinquanta giorni di lontananza sono stati tanti; per fortuna la mia compagna ha avuto l’aiuto di nonni e amici, ma è stata comunque bravissima nella gestione quotidiana del nostro bambino. Ora con il passaggio da Treviso alle Zebre sono a casa e ci stiamo godendo questa nuova fase. Direi che abbiamo finalmente iniziato ad avere una vita domestica continuativa e duratura”.

Come vive il passaggio alle Zebre: come una piccola retrocessione, dato che al momento la squadra bianconera appare meno efficace di quella trevigiana, o come un fortunato ritorno a casa?
“Sono pienamente contento di questo trasferimento. La squadra è di primo livello e lo ha già dimostrato. Abbiamo tanti ottimi giovani, dalle prospettive molto promettenti. Sabato giochiamo in casa contro Glasgow e puntiamo alla prima vittoria. I risultati arriveranno di sicuro, perché i giocatori ci sono, lo staff è molto competente e l’ambiente è positivo. Questo non toglie che a Treviso io abbia lasciato tanti amici, con i quali mi sento settimanalmente; sarà bello, se verrò convocato, affrontarli nei derby di Natale”.

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