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A.R.I.A. nuova nel mondo arbitrale?

Scritto da Rugby.it

Nasce A.R.I.A.,un nuovo soggetto dal basso fra i nostri arbitri: vediamo cosa vuole e come intende farlo.

Nelle scorse settimane è nata A.R.I.A., ovverossia Arbitri Rugby Italiani Associati, poco nota finora ai più, ma che nasce con grandi ambizioni e premesse interessanti. Scopro subito le carte dicendo che il sottoscritto, da appassionato di rugby, appoggia pienamente l’iniziativa e ne condivide gli scopi, oltre a nutrire profonda stima nei confronti del presidente della neonata associazione che mi ha gentilmente voluto concedere un’intervista. Chi vorrà quindi cogliere nei toni dell’intervista un certo favore da parte dell’intervistatore ne avrà tutte le ragioni; il favore, però, non m’impedirà di fare a Giuseppe Ruta, presidente pro-tempore, le domande che ritengo opportune anche se, magari, non sempre comodissime.
D. Giuseppe Ruta, cinquantenne siculo-umbro, ingegnere-arbitro, docente universitario-presidente: quante cose, e tutte impegnative, in un uomo solo! Innanzitutto una mozione d’ordine: come dobbiamo chiamarti? Presidente? Prof.? Ref? Giuseppe?
R. Sono Giuseppe ma Peppe, o Beppe, è più informale: diciamo anche Peppino, vista la mia corporatura niente affatto da Watusso.
D. Allora, caro Peppino, abbiamo tutti letto con interesse della nascita di A.R.I.A., ma non credo che a tutti sia ancora chiaro di cosa si tratti. Siete un sindacato? Un’associazione? Una lobby? Un gruppo di studio? Insomma, ci puoi spiegare che ruolo vuole interpretare A.R.I.A. all’interno del movimento rugbystico italiano?
R. A.R.I.A., come dice l’acronimo, è un’associazione costituita ai sensi della Costituzione italiana e nel rispetto degli ordinamenti sportivi del CONI e della Federazione Italiana Rugby, tra gli arbitri italiani di rugby di qualsiasi livello. A.R.I.A. vuole rispondere a esigenze di base del movimento: formazione continua e capillare, programmata con chiarezza e omogenea sul territorio nazionale, assistenza in ogni momento dell’attività, dignità e diritti oltre ai doveri indiscussi, rappresentanza grazie al numero di associati.
D. Ho letto con interesse la vostra “Magna Charta Libertatum”, una sorta di manifesto fondativo dell’associazione e vi ho trovato molti ottimi principi e molta buona volontà. Come ben sai, però, passare dai principi alle azioni non è sempre semplice. Proviamo a vedere alcuni punti. Parlate di autonomia decisionale da parte dei dirigenti del settore: autonomia da chi e per fare possibilmente meglio cosa?
R. Partiamo da un presupposto imprescindibile: l’attività arbitrale non può marciare indipendentemente dal confronto con gli allenatori e i giocatori. L’arbitro in campo e fuori (come osservatore, tutore, valutatore) deve assolutamente avere un dialogo continuo con gli altri protagonisti del gioco, per avere il polso reale dell’evoluzione del gioco e dei meccanismi del campo. Questo rapporto, però, dovrebbe procedere nel rispetto dei ruoli reciproci, senza intaccare l’autonomia decisionale degli organi preposti all’indirizzo dei ruoli medesimi. Questo significa poter avere indirizzi e obiettivi chiari e strategici di sviluppo; per gli arbitri, questo è indispensabile per lavorare in serenità sullo sviluppo della base e, a piramide, dei vertici, con la certezza di affrontare (com’è umano) degli errori ma anche con la serenità di poterli giudicare.
D. Sempre su questo punto, leggo che tale principio secondo voi è negativamente condizionato da, cito testualmente, “ingerenze di figure estranee, o non a conoscenza delle dinamiche del movimento arbitrale, che ne possano condizionare l’autonomia”. Puoi essere più chiaro? Con chi ce l’avete e per cosa?
R. Negli ultimi tempi la figura dell’arbitro è stata intesa a servizio dei tecnici allenatori. A.R.I.A. crede invece che tutti (giocatori, allenatori, dirigenti, arbitri) si sia a servizio del gioco splendido del rugby, con ruolo paritetico e rispetto reciproco.

D. Meritocrazia mi sembra, oltre che una splendida aspirazione, un cardine della vostra iniziativa. Ma la meritocrazia presuppone un giudizio. Chi dovrebbe formulare tale giudizio e sulla base di quali elementi? E quali dovrebbero essere le conseguenze di un giudizio positivo o negativo?
R. Nessun arbitro ha paura del giudizio del campo: a tutti è occorso di fare errori, e non ho conosciuto alcun collega che non fosse pronto, prove alla mano, a ripensare alle proprie azioni e a lavorare per migliorare, esattamente come fanno giocatori, tecnici, dirigenti. In tutti gli ambienti d’attività umana, il giudizio sereno sul lavoro di una persona è affidato a esperti anziani dello stesso settore: sembrerebbe strano, infatti, che un tornitore giudicasse il lavoro di un saldatore, che un docente di fisica giudicasse il compito in classe assegnato da una collega di lingua straniera, che un revisore contabile giudicasse le prestazioni atletiche di un mezzofondista. A.R.I.A. crede che lo stesso valga nel settore arbitrale, certamente senza arroccarsi in mondi isolati ma anche con la serenità di un giudizio indipendente che si può trasmettere con trasparenza.
D. Mi interessa, poi, molto il principio di “Serenità”. Cosa vuol dire oggi per un arbitro essere sereno? Sereno riguardo a cosa: all’equanimità di chi deve giudicarne i meriti? Alla tutela della sua onorabilità ed incolumità (sappiamo, purtroppo, che da qualche parte questa è poco garantita)? O riguardo a cos’altro?
R. Le risposte sono già state date all’interno della tua domanda. Un collega arbitro vorrebbe essere sereno nello svolgere il suo compito, come un giocatore prima della partita: solo la tensione del campo, l’odore della canfora e dell’erba bagnata, la fatica della corsa, la freddezza nell’analisi di ogni situazione, l’accettazione degli errori umani e che essi saranno valutati per quel che sono: errori umani.
D. Sempre a proposito di serenità esco per un istante dal seminato per porti una domanda da appassionato ad arbitro: come vive un arbitro gli improperi e le critiche grossolane che molto spesso piovono dalle tribune dei campi italiani? E’ una cosa che vi ferisce, che crea un po’ di insicurezza durante la partita?
R. Questo può ferire gli arbitri giovani, che vivono il campo per le prime volte. Per questo è indispensabile che nelle prime uscite il giovane esordiente sia accompagnato da un anziano esperto come tutore che lo aiuti a vincere incertezze e pressioni esterne. Un “vecchio” come me ricorda solo gli improperi più coloriti e improbabili e ci ride su: a me piace ricordare la frase “sposta la frangetta, ché non vedi un c….”, che chi conosce la mia condizione di diversamente pettinabile potrà apprezzare con un sorriso.
D. Ma torniamo al vostro manifesto. Fate riferimento anche a problematiche di carattere economico e logistico che rendono difficile svolgere adeguatamente il vostro ruolo e questo mi da il destro per una domanda di più ampio respiro. Come sta il movimento arbitrale dal punto di vista vocazionale? Uno che oggi voglia fare l’arbitro è incoraggiato o meno ad iniziare il percorso? Un comune amico reggiano, ad esempio, mi segnala che Clara Munarini, una delle più brave arbitre italiane, nello stesso weekend dovrà essere guardalinee in Eccellenza al sabato pomeriggio, arbitro per un match U14 domenica mattina e arbitro per la serie C domenica pomeriggio. Abbiamo così pochi arbitri da doverli sottoporre a simili tour de force?
R. Dal punto di vista vocazionale A.R.I.A. sta operando incontri sul territorio per comprendere dal vivo lo stato di salute del movimento, ricavandone la sensazione che la categoria abbia risentito in questi anni di un calo d’interesse. Sulla seconda parte della domanda, il movimento arbitrale non è distribuito uniformemente sul territorio, e non tutti gli arbitri possono garantire disponibilità ogni domenica e per ogni tipo d’impegno. Per questo può capitare che lo stesso collega sia presente in più occasioni, anche per non richiedere trasferte pesanti a colleghi di regioni diverse.
D. Ho saputo che vi state muovendo per ottenere delle convenzioni per i vostri associati. Tu stesso hai annunciato una convenzione con Sarni e Autogrill per la ristorazione durante le trasferte. Non credo, però, che far avere uno sconto agli arbitri sul panino Camogli esaurisca le esigenze di un arbitro che deve muoversi. Avete in preparazione altro su questo punto?
R. Potrebbe sembrare che un Camogli non aiuti ma invece ogni supporto alla trasferta è importante, soprattutto dal punto di vista psicologico: il mio impegno viene riconosciuto non solo con la diaria federale ma anche con piccoli gesti di sostegno alla spesa, che A.R.I.A. si sta impegnando a ottenere. Da questo punto, stiamo cercando convenzioni anche per gli alberghi (per chi fa trasferte sul territorio nazionale), con le società di trasporto ferroviario, con le assicurazioni per gli imprevisti nei viaggi e altro ancora.
D. Una lunga sezione del manifesto si riferisce agli aspetti della formazione continua che un arbitro dovrebbe avere durante la sua carriera. Cosa non va, secondo voi, oggi?
R. C’è il bisogno sentito di una formazione continua e capillare, programmata con chiarezza e con tempi certi, omogenea su tutto il territorio nazionale e a tutti i livelli, per garantire uniformità di valutazione (nei limiti umani) e possibilità di crescita qualitativa indipendentemente dalla categoria che si arbitra: i mezzi di diffusione lo permettono, la base lo chiede.
D. Voglio venire a un punto secondo me spinoso e sul quale, lo dico sinceramente, non mi trovo d’accordo con voi. Mi riferisco all’aspetto comunicazione e rapporti con i media. Secondo il vostro manifesto ci dovrebbe essere una restrizione che renderebbe afoni i nostri arbitri delegando ai soli C.N.A.R. e A.R.I.A. la possibilità di comunicare all’esterno. Non è difficile capire da dove nasca questa esigenza (anche nel recente passato qualche episodio spiacevole ha dato poco lustro alla categoria), ma non vi pare di esagerare? Insomma non è che si rischia di passare da un eccesso all’altro, dal “liberi tutti” ad una specie di Pravda arbitrale, di verità ufficiale con tanto di timbro?
R. Non credo si corra questo rischio: la C.N.Ar. è l’organo politico federale per il settore arbitrale, A.R.I.A. è un’associazione di arbitri che vuole sostenere e supportare la C.N.Ar. dando voce agli associati, per di più con una struttura democratica e dal basso, pronta a recepire tutte le richieste del movimento. Perché ci dovrebbe essere bisogno di esternazioni estemporanee del singolo se ci sono già un movimento di base e un organo federale? Nelle sezioni locali, in cui la visita dei rappresentanti di A.R.I.A. ha avuto un successo notevole, a volte rivitalizzando le riunioni, è stato ben colto che il ruolo di A.R.I.A. è anche questo: raccogliere le voci dal basso e convogliarle in alto seguendo i canali istituzionali ma senza dimenticare alcuno.
D. Il vostro manifesto è riassunto dallo schema che appare in apertura di questo articolo, vale a dire la casa di A.R.I.A. L’arbitro vi appare come una sorta di Homo Vitruvianus al centro di una serie di principi. Quell’arbitro lì in mezzo è rappresentativo dell’arbitro di oggi o è un’aspirazione? E se è un’aspirazione, cosa manca per realizzarla?
R. Ogni progetto è necessariamente basato su una visione strategica. Vorremmo arrivare a un arbitro ideale, come un giocatore vorrebbe seguire un modello ideale e un allenatore vorrebbe arrivare a un modulo di gioco ideale: molto è stato fatto ma molto si può ancora. Cosa manca? Più formazione, anche dal punto di vista dell’accettazione del giudizio, più comunicazione, più trasparenza, giudizi più continui e motivati.
D. Caro Peppino, per fare un’intervista seria bisogna arrivarci preparati ed io mi sono letto tutto quello che ho trovato. Nel vostro statuto vi definite “apolitici” e questo lo dicono sempre tutti. Ma poiché voi siete e volete essere un cambiamento non posso fare a meno di chiederti come vi schierate all’interno del movimento: siete per la continuità o siete “pronti al cambiamento”?
R. I tesserati arbitri non hanno diritto di voto, in relazione ai componenti della C.N.Ar., in seno federale. Per questo la tua domanda non può avere risposta. Noi siamo arbitri, terzi e imparziali per definizione: A.R.I.A. si schiera decisamente a favore del rugby e a supporto del lavoro degli arbitri. Il singolo arbitro può avere le sue opinioni sulla politica federale, A.R.I.A. vuole solo che il movimento cresca qualitativamente e quantitativamente.
D. Come sta andando A.R.I.A. dal punto di vista delle adesioni? Leggo che hanno aderito alcuni degli arbitri più promettenti dell’ultima covata (due esempi fra i più noti sono Stefano Bolzonella ed Emanuele Tomò), ma i “big”, come Mitrea, Vivarini, Liperini, Rizzo, Blessano, solo per citare alcuni esempi? Li conoscete, ci avete parlato? Come mai non sono con voi? O ci saranno?
R. Al momento, dalla sua presentazione (28 novembre), A.R.I.A. conta circa 250 adesioni, ma i dati delle visite più recenti alle sezioni sul territorio sembrano indicare che si possa andare oltre 300 prima della fine dell’anno, e che all’inizio dell’anno, con nuove visite sul territorio, si possa andare ben oltre. Uno dei principi di ogni associazione è garantire la riservatezza dei dati personali, per cui ti confermo che arbitri di ogni ruolo hanno aderito ad A.R.I.A. e stanno continuando a farlo, che tutti sono contattati e che parliamo con tutti per fugare ogni dubbio su scopi e motivazioni dell’associazione. Fra quanti hanno già aderito ad A.R.I.A. ci sono colleghi di ogni livello: Eccellenza, serie A, B, C, regionali, coordinatori regionali, capisezione. Non sarà A.R.I.A. a rivelare i loro nomi; se vorranno, potranno farlo loro e dare ancor più forza all’associazione.
D. Fammi concludere in maniera un po’ leggera (di solito i giornalisti veri fanno così per lasciare un buon ricordo). Tu, ormai sei un arbitro a riposo: ti manca il campo?
R. Io non sono a riposo! Si arbitra fino a 55 anni se si è in regola col certificato medico e io ho ancora tempo, sempre che dopo questa iniziativa i designatori si fidino ancora delle mie capacità…
D. C’è un arbitro che indicheresti come modello per la categoria? E perché proprio lui?
R. Non ce n’è uno in particolare: non nego mi piaccia il disincanto di Nigel Owens ma apprezzo di più il distacco di Alain Rolland (non parlo dei migliori colleghi italiani, mi picchiano… 🙂 )
D. Dopo questa pensi che mi darai un’altra intervista in futuro o ne hai avuto abbastanza?
R. Come portavoce di A.R.I.A., non avrò mai difficoltà a parlare con chiunque chieda pareri sul mondo arbitrale.
Ringrazio davvero volentieri Giuseppe Ruta per la sua schiettezza e disponibilità e mi metto insieme a voi alla finestra per vedere se sarà possibile aprirla per far entrare davvero A.R.I.A. nuova in qualche stanza che ne ha davvero bisogno.
jpr

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