Iniziamo ad avere un po’ di luce in fondo al tunnel: sono nate le Zebre 2.0, hanno un amministratore unico che ha lavorato in ambito sportivo, seppure nei motori, questa settimana si dovrebbe arrivare a firmare i contratti e a definire la rosa cui mancano almeno 2-3 elementi di peso. Il campo poi dirà se queste nuove Zebre potranno gareggiare alla pari con gli altri team del Pro 12 (o Pro 14). Che già esistano, però, dopo la grande mareggiata di primavera, è una buona notizia.
The Budd (The Good)
Dean Budd. Quello che sembra un comprimario, perché lo vedi poco, ma poi vai a guardare le statistiche e vedi quanti placcaggi, quante touche e break conquistati, quanti metri corsi… Una sensazione simile l’abbiamo con giocatori come Venditti o Ale Zanni. Non sono i Dan Carter, non vedi la genialità nel loro gioco, ma vedi quella sostanza che si fa oro ad ogni minuto. Budd è una seconda-terza, non ricordiamo una partita in cui proprio ci abbia fatto inorridire, ha avuto purtroppo anche lunghi stop fisici per infortunio ma il suo l’ha sempre dato e ora è diventato anche una colonna azzurra, tanto da chiamare le touche all’esordio. E l’anno prossimo sarà capitano a Treviso. Quando si dice un’equiparazione fatta a ragione veduta.
The Bad
L’incredibile caso di Alberto Lucchese, ve lo ricordate? Passare dalla nazionale a smettere di giocare perché si resta senza contratto. Dalla maglia azzurra ad aprire un bar e continuare le attività che già in famiglia si facevano. Riportava rugbymeet qualche mese fa alcune news sul nostro Lucchese di cui si erano perse le tracce e appunto la ristorazione è diventata, a trent’anni, il suo nuovo lavoro. Sono tanti i casi di rugbysti anche giovani che lasciano per darsi a un lavoro “vero”, certo non sono nazionali ma magari giocatori di rilievo dell’Eccellenza che non riescono a fare ulteriori salti di qualità. Eppure questo nell’ovale povero d’Italia succede: gente che finisce prima della scadenza del contratto per tornare nella sua fattoria in Sudafrica (Geldenhuys), altri che smettono da giovani per continuare gli studi (Ricciardi), altri che cominciano a lavorare nella club house del club per cui giocano (Frati). Insomma lo stato dell’arte ovale è abbastanza precario…
Un incredibile botta di…
Nell’emisfero sud assistiamo ad una meta veramente, veramente di chiappa (minuto 1.55 del video qui sopra). Un passaggio sbagliato del mediano ad altezza nuca che diventa un insperato assist per la marcatura. Colpo di testa del pilone, che non è avanti, palla che sorpassa la difesa e meta facile facile. Tante mete fortunose abbiamo visto, diciamo che questa è una di quelle che va dritta dritta in cima alla classifica.
La depressione del rugbysta
No, non ci riferiamo a quel sentimento di abbattimento tipico di chi, come noi italici, perde sempre (o molto spesso). Qui parliamo della depressione vera, qualcosa che sembra essere lontana dal nostro mondo muscolare e potente, dove la lotta è pane quotidiano. Ma non è così, e ci sono esempi lampanti di campioni devastati dalla depressione, arrivati addirittura all’atto estremo del suicidio, ma anche di campioni che hanno saputo riconoscerla, capirla, affrontarla da rugbysta, a viso aperto con il giusto aiuto. Perché a noi rugbysti insegnano che tirarsi indietro è un disvalore, e anche il tirarsi indietro, il far finta di nulla di fronte a una malattia così grave è l’antitesi del nostro valore. Ecco perché ci piace mostrare il video fatto da un italiano ormai acquisito come John Kirwan, guardatelo, è una bella testimonianza che nella pesantezza e nel dolore di una situazione difficile gli aiuti ci sono. Insomma: uno psicologo non ha mai fatto male a nessuno…
Foto: Stefano Del Frate.