Gli All Blacks sono forti perché sanno pulire gli spogliatoi. Noi italici siamo spesso perdenti perché molte volte togliamo la corrente all’hardware. E poi: qualche idiota, per fortuna pochi, c’è anche nel nostro mondo ovale.
Tra buchi e buconi di bilancio, rossi che diventano ancora più rossi, deferimenti, inchieste, è passata l’ennesima calda settimana politica rugbystica. Ma, come sapete, su questa rubrica (e in generale su questo blog) si parla e si vorrebbe parlare principalmente di sport. Quindi ci aggrappiamo alla bellezza di quanto si vede in campo, anche solo con una telecamerina fissa e con lo streaming ballerino che va a singhiozzo. E a quello restiamo attaccati.
The Good
Lo spirito All Blacks. Leggiamo che l’ex coach bokke Heineke Meyer, teorizzando a proposito del perché gli All Blacks vincano sempre, cita alcuni elementi “culturali” e di, ci verrebbe da dire, educazione. Dice che, ad esempio, i giocatori senior spazzano lo spogliatoio dopo averlo usato. Questo ci ricorda lo stupore di un grandissimo come Brendan Leonard quando, dopo la prima partita giocata a Parma, vide i suoi compagni buttare la maglia usata a terra e calpestarla.
Ma ci ricorda pure che è pratica comune tra i tuttineri avere un approccio estremamente professionale e umile, anche fossero gente da 100 caps e anni di battaglie. Così ecco Mils Muliaina presentarsi a Parma con blocco per appunti al primo incontro di video analisi. Restando in tema: sir Johnny Wilckinson provava i suoi calci in maniera quasi compulsiva, con sessioni extra di allenamento non imposte da nessuno, nemmeno dal campo a ben vedere.
Insomma, i forti non sono solo quelli che alzano tanti kg sulla panca. I buoni giocatori non solo solo quelli che sanno passare bene o che calciano millimetricamente. Un giocatore di livello si riconosce anche e soprattutto dalla sua testa, dall’umiltà di considerasi sempre “uno che sta imparando”, dal rispetto per sé, per la maglia e il team che gli permette di esprimersi e crescere.
Umiltà, concentrazione, attitudine al lavoro, disponibilità al sacrificio supplementare, comprensione di quello che si è e di quanto ancora si possa progredire. Ecco cosa sono gli All Blacks e quel risultato che vediamo in campo, così perfetto, ne è solo l’esito conclusivo. Cerchiamo anche noi di imparare, dunque. E cerchiamo di far diventare tutto questo non un imposizione dall’alto, ma la normalità. Come è normale nel rugby pane e salciccia dell’Uisp o della serie C che uno pulisca o che un altro porti la birra per il post allenamento o che un altro tiri le righe del campo con un po’ di calce presa dallo zio muratore. Non c’è nemmeno bisogno di “organizzare” o dividere i compiti, sono cose che succedono in modo naturale, che devono essere parte del tuo Dna rugbystico.
The Bad
Fosforo per Zebronia. Chi ha visto la ripassata presa dalle Zebre nelle verdi terre irlandesi non ha potuto fare a meno di notare una cosa. Non è stata tanto una sconfitta di fondamentali, di tenuta fisica, di brocchezza generale. C’è un elemento, uno, che dopo tanti anni di “alto livello” ancora stupisce chi scrive. La drammatica presenza nel corso della partita di momenti di calo di concentrazione, lo stacco della corrente dell’encefalo, la distrazione fatale che causa mete, magari anche dopo buoni minuti.
Inevitabilmente in una partita di una squadra italiana c’è il momento black-out, anche grave. Esempio: durante Munster-Zebre al 52esimo le Zebre subiscono meta tecnica. Il successivo calcio di ripartenza di Carlo Canna finisce oltre l’out di destra. Munster corre velocissimo, batte touche rapida nella distrazione generale dei bianconeri e i suoi uomini arrivano nuovamente a 5 metri dalla meta. Ecco, ok che si sta perdendo e di tanto, ma sono situazioni di gioco che non ci si può permettere, due regali uno via l’altro, la seconda distrazione fatale dopo una situazione che “può capitare” (un calcio sbagliato) ma che deve essere prevista e prevedibile e quindi sempre evitata. A questo serve il famoso mental coach? Non lo sappiamo, una volta per tenere la barra dritta e l’attenzione desta bastavano due o tre parole ben dette dal capitano o uno scapaccione sullo sterno del coach all’intervallo.
Gli idioti li abbiamo anche noi
Sì, è rugby league, che è “un’altra cosa”.
Ma se scene come queste sono ancora molto, molto rare nell’ovale, egualmente ve le mostriamo, a mo’ di monito, per non abbassare mai la guardia su certi valori totalmente inderogabili. Il primo di essi passa sotto la voce di “rispetto“.
In questo mach del campionato inglese, in cui tra l’altro in campo vediamo anche l’azzurro Mantellato, a fine partita un branco di teppisti entra e inizia a fare rissa. Fortunatamente ci sono molti tifosi avversari che utilizzano il mezzo più semplice contro l’idiota, allargare le mani senza menarle, chiedere che diamine stanno facendo. E fortunatamente ci sono ragazze che tirano qualche schiaffo ai loro uomini, probabilmente carichi di birra, per farli smettere. E ci sono tanti spettatori che trattengono e allontanano i matti, per lo più ragazzetti sciocchi, di forza. E fortunatamente interviene con metodi molto spicci anche la polizia, che immobilizza il gruppetto di esaltati. Poi c’è anche qualcuno, altrettanto stupido, sugli spalti che ride, e parte divertirsi…
Salvaguardare il rispetto e il nostro ambiente che è fatto di lotta dura senza paura in campo e amicizia e festa fuori. Qualche volta gli animi si scaldano anche da noi, qualche volta partono gli insulti agli arbitri, raramente ai giocatori. Ecco, tracciamo subito la linea e impediamo con tutte le forze che la si passi. E gli uomini di buona volontà siano intransigenti da questo punto di vista, in primis con sé stessi se qualche volta gli parte l’insulto o la protesta.
Ma, WHY?
Cambiamo argomento e facciamoci una risata: Mitre 10 cup, il campionato nazionale neozelandese. Durante l’incontro Wellington – Soutland avviene una cosa che, onestamente, non avevamo mai visto in campo. Un calcio fatto in direzione ostinata e contraria. Azione di recupero su palla vagante, un difensore invece che passare normalmente, di mano indietro, al suo compagno a 2 metri di distanza ha la buona idea di sparargli una mozzarella di piede in faccia. Guardate anche voi…
Se vi state chidendo perché l’abbia fatto, forse la semplice spiegazione sta nel cronometro: 41.44, tempo ampiamente scaduto. L’idea probabilmente era quindi quella di spararla fuori prima possibile. Idea non esattamente bene concretizzata…
Joseph K.
Foto copy Stefano Del Frate (https://www.flickr.com/photos/stefanodelfrate/, http://www.stefanodelfrate.com/).