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An italianman in Cardiff – Part two

Scritto da Rugby.it

Racconto semiserio della mia trasferta a Cardiff – Parte seconda

Ehi, come, state cominciando la seconda parte senza aver letto la prima? Leggetela QUI, altrimenti magari ci capite poco…

Sabato 19 marzo – Il giorno delle grandi scoppole

Ci svegliamo a Cardiff con sostanzialmente la stessa temperatura del giorno precedente ma un po’ meno di vento gelido, quindi si sta leggermente meglio. Il programma della giornata è intenso: ma prima di tutto occorre fare colazione. Visto che abbiamo impostato il week-end sul “tipical” andiamo da Starbucks, che sostanzialmente conoscevo solo di nome ma di cui pre-odoravo il grado di fuffa. Ebbene, l’espresso era più o meno come il nostro, a parte il costo quasi quadruplo, mentre il “croissant al burro” ricordava la famosa Luisona di Benni, il dolce esposto nella vetrinetta del bar da decenni che alla fine diventa parte dell’arredamento.

Intermezzo wi-fi

Quasi ovunque a Cardiff ci sono reti aperte, praticamente tutti i locali le hanno e spesso si prendono anche per strada. Non vanno sempre e dovete adattarvi alla linea ad intermittenza: ma immaginiamo che non andrete a Cardiff per vedervi 5 puntate di House of Cards una via l’altra quindi alla fine non sarà un grande problema.

Digerire la Luisona

Bisogna digerire la Luisona: quindi iniziamo a fare due passi in centro. I pub sono aperti dalle 9 del mattino e tutti offrono la visione delle partite del 6 Nazioni. Ovunque compaiono anche piccole bancarelle con l’immancabile fiorellone giallo e altri souvenir. La quantità di tifosi di casa è già elevatissima a ne arrivano in continuazione dalla zona della stazione. Noi italici di azzurro vestiti siamo una nettissima minoranza, ci consola però ad un certo punto questa beatifica visione.

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Un parrucchiere italiano (sullo sfondo mentre esegue shampoo a una oxygen blonde senza nome), con maglietta azzurra di ordinanza, azzarda un pronostico e ha il coraggio di esporlo sulla vetrina al pubblico ludibrio (sì, tutti sorridono vedendolo). In effetti al minuto 7 della partita, quando eravamo sotto 15-0 o 17-0 (il conto lo abbiamo perso in fretta) la sensazione è che poteva averci preso e ci aspettavamo la remontada. Che ovviamente non è avvenuta.

The Castle and the hat

A rugby è “obbligatorio” mostrare i tuoi segnali nazionali distintivi. Per quanto ci riguarda la dotazione constava di:

  • parrucca con trecce “La bella tirolese” colore azzurro-platinette
  • maglia Kappa 2006 fine serie
  • berretta azzurra con strisce nere (sì quella che tutti in Italia vi scambiano per un vessillo del Football Club Internazionale)
  • cucchiaio di legno con scritta “It’s good for italian soup”.

Ma la tradizione vuole anche che si porti un piccolo segno della squadra avversaria: così contro la Francia il vostro redattore aveva il cappello da pollo (i galletti non esistevano da Moreno – dove tutto costa meno), contro gli irish un trifoglio pittato in fronte tipo stimmate del Redentore ne La passione di Cristo, contro gli inglesi un gustoso travestimento da bustina da tè Twinings, contro la Scozia lo stesso cucchiaio di legno di cui sopra ma con scritta invertita (“It’s not good for italian soup”).

Contro il Galles occorreva proseguire la tradizione, quindi la volontà era quella di comprare un piccolo narciso giallo da appuntare sul petto. Ma le bancarelle parevano non averne nemmeno uno, così l’acquisto è necessariamente dovuto cadere sul cappello-fiore gigante per la modica cifra di 10 pounds.

IMG_6118Muniti di esso andiamo a vedere la maggiore attrazione di Cardiff, il Castello. Esso non è male, anche se in larga parte sembra ricostruito, ha un torrione centrale e delle abitazioni nobiliari con alcune sale stranissime tra cui una camera arabesca con decori e intarsi orientaleggianti.

Non essendo dotati di audioguida, né avendo optato per una delle visite guidate, non possiamo spiegarne i motivi agli appassionati di storia che stanno leggendo. In compenso possiamo però mostrarvi una foto rubata negli interni dove si può notare appunto un tipico tifoso italiano dall’andatura sicura, provvisto di altrettanto tipico yellow hat-flower gallese (qui sopra a sinistra).

Il tour culturale continua con un passaggio dalla Cattedrale di San Davide (cattolica) e dalla graziosa St John the Baptist Church che sembra un gotico allungato verso il basso piuttosto che verso l’alto. Davanti alla stessa c’è un banco che, sopra una fornace circolare tipo quella delle caldarroste nelle feste degli alpini, sta cuocendo tonnellate di bratwurst e altre prelibatezze bavaresi. Preparati dalla mala parata della sera precedente al ristorante giapponese procediamo ad un test linguistico e dalle prime parole crediamo di intendere che il grigliante sia, effettivamente, tedesco (o quanto meno di certo non è gallese). Ci pare un buon indizio e acquistiamo. Ebbene: sarà il miglior cibo del week end, tanto da meritare il bis.

Intanto le strade di Cardiff iniziano ad essere decisamente animate.

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Comincia a comparire anche qualche timido italiano ma soprattutto un geniale gruppo di alcuni tifosi composto da:

  • un pizzaiolo con 4 stagioni cartonata,
  • un Leonardo con riproduzione Monna Lisa,
  • un Dante con alloro,
  • un gondoliere,
  • un Miss Italia (uomo)
  • un gigantesco Pavarotti con tuta gonfiata ad aria per simulare la pinguedine.

Ma dato che l’ora fatale sta arrivando dobbiamo iniziare ad andare verso il Millennium.

Dalla vetta del Millennium l’abisso dell’Italia è un po’ più profondo

Siamo in un settore molto elevato, diciamo 5-6 file prima del tetto. Però il Millennium (sì, si chiama Principality Stadium, lo sappiamo, ma quanto è bello il vecchio nome) ha una visuale perfetta, ricorda un po’ il Camp Nou di Barcellona: niente pista, salita ripida e visione del campo ideale. Da questa altezza però le mete si intuiscono con qualche secondo di anticipo: vedi il sovrannumero, vedi il buco difensivo lasciato, insomma è una lenta via crucis che si capisce anche con qualche secondo di anticipo.

Ma prima ci sono gli inni. E prima ancora un coro di almeno 200 persone che intona una serie di struggenti canzoni popolari + l’immancabile Delilah. Il momento degli inni è carico di emozione: se il nostro è un fioco vocio dove il sottoscritto cerca di tenere a bada un settore di qualche migliaio di soli gallesi, appena parte l’inno di casa arrivano i brividi fino alla punta degli alluci.

Si capisce subito che sarà dura. Partiamo e al quinto meta subita, la classica soft try che ormai la nostra nazionale ci ha abituato a prendere. Siamo penalizzati in chiusa, sbagliamo 3 touche e prima del decimo minuto subiamo la seconda meta. Poi Biggar piazza, e fa capire che tutto sommato un pochetto di paura nel fondissimo del loro inconscio forse ce l’hanno. Ma la partita non esiste, passiamo dal rugby alla discesa fuori pista e veniamo investiti da una slavina senza avere il gps per farci trovare dai San Bernardo.

Facciamo anche 2 mete, una da carretto, una con un bel sottomano di Allan, ma la prestazione è abbastanza pietosa e contiamo ancora 2 nuovi (e gravi) infortuni.

Watch here 6 nations rugby!

Finito il calvario possiamo usare il resto della giornata per tirarci su il morale. Ovunque c’è il 6 nazioni e tutti lo vanno a guardare. In particolare a Cardiff ci sono più tifosi francesi che a Parigi. Ovviamente si tratta di nativi che non amano molto la nazionale della Rosa e addirittura improvvisano una marsigliese in modalità “Na na na na na na na naaaaa aaaa, na na na na na na na na”.

IMG-20160320-WA0002Cena. Nell’ormai famoso Brewery Quarter cerchiamo di iniziare a dimenticare.

La scelta, vista la quantità di gente, inizia a farsi ristretta e finiamo nell’unico locale con qualche tavolo libero, uno spagnolo, il La Tasca, con barman italiano e servizio gentile. Ancora una volta mangiamo dell’etnico un po’ declinato in stile fast food, una pseudo-paella valenciana che ricorda molto i 4 salti in paella Findus accompagnata da due o tre assaggi di patatas bravas e tortilla e da una buona birra Estrella.

Dopo mangiato si terminerà la serata nel solito calore dei numerosi pub di Cardiff con la loro variegata popolazione festante. E qui è necessario raccontare un’altra piccola carrellata di episodi divertenti:

  • al solito O’Neils (vedi episodio precedente) una coppia, credo allargata, di 2 donne e un uomo, ci parla. Hanno monopolizzato il lato bancone per 25 minuti trangugiando chupiti su chupiti (c’era l’offerta 4×2). A un certo punto una delle due gentili 50enni dice, “Il tuo amico non parla inglese, gli parlo e non capisce” (per altro come se fossi John Milton, io che ho un inglese più che pietoso). Cerco di cavarmela simpaticamente con un “We speak italish” (devo ammettere che il premier Renzi quando disse I don’t speak english, i speak globish mi aveva dato già la prima spinta). Lei mi parla della partita del punteggio non esattamente “tirato”. Io rispondo con un But we always win in the after time party. E lei, giustamente, cita l’onorevole Razzi: Non creto.
  • Due avventori al bancone ci fanno palesi cenni di avvicinarci. Sono un gallese e un francese, ci offrono 2 pinte di pietà, il francese cerca di paragonare le nostre 67 pappine prese con la loro recente sconfitta con gli inglesi. Al che il gallese non si trattiene: You lost, they collapsed.
  • Fuori da un pub un nativo ci chiede una sigaretta. “Non fumo, mi spiace”. “Ah ma siete italiani. RESPECT“. E qui parte un discorso elogiativo sul fatto che gli italiani si fanno x-mila km per vedere una nazionale che sempre perde, inframezzato da una serie di “RESPECT” che non sentivo dai tempi del rap di Run Dmc. 
  • Al rientro verso la nostra stanza incrociamo un ragazzo palesemente alticcio che dice parole inintellegibili. Rispondo, per non saper né leggere né scrivere “Ok, thanks”. Lui mi chiede dove stiamo andando. E io: “Stiamo tornando alla nostra stanza”. “Dove dormite?”. “In un Airbnb”. “Ma vieni da me mate! Perché sei finito in un Airbnb?”. “Perché non ti conoscevamo, mate“. “Ma ora siamo amici, mate, vieni da me”.

Dribblato il mate si torna a dormire che domani il risveglio è molto early

Finito un 6 nazioni, anche il più disastroso, non si può non iniziare a pensare al prossimo. E questa volta c’è da scegliere tra Twickenam, il Murrayfield o la solita puntata all’Olimpico. Il non esserci mai stato direbbe “Twickenam” ma alla fine forse si farà Murrayfield… Quindi: all’anno prossimo!

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