Il devastante Favaro e i ciccioni più ciccioni del rugby mondiale. Un capitano che ci saluta e un motto sempreverde per la nostra nazionale: travagliando si impara.
Esaltazione e crollo, felicità e depressione, montagne russe emotive cui siamo abituati. Ma questa volta c’è una certa differenza per cui noi, personalmente, siamo più ottimisti dopo questi tre test match: la differenza è la voglia che si è vista in campo, il “mai morti” che anche nella sconfitta i nostri hanno mostrato.
The Good
Simone Favaro. Un encomio preliminare va al pubblico italiano, meraviglioso in tutte e tre le partite, sempre a sostenere, a dare forza e ad applaudire di fronte anche alla pesante disfatta. Il pubblico di appassionati e neofiti con cappellino folkloristico che hanno fatto una doverosa standing ovation ai tongani a fine partita. Quelli che ordinati, comunque contenti anche nel fegato amaro, si sono fatti la solita bella esperienza di cultura rugbystica. Ma poi non possiamo non celebrare la grandezza del nostro flanker, un vero fuoriclasse di questa squadra, merce rara che speriamo abbia una lunghissima conservazione. Favaro è modello di quella leading by example, come la chiamano tra Dover e il Mare del Nord, quel silenzioso modo di mostrare agli altri cosa fare e come farlo facendolo. Un tizio silenzioso che ti azzanna quando stai ancora per ricevere il passaggio, che è già lanciato con i cingoli mentre te ancora stai cercando di capire se il mediano te la passerà o calcerà. Un mastino preveggente che anticipa i placcaggi e da solo porta avanti la trincea di 10 metri. Magari dovrà ancora crescere un attimo come comunicativa in particolare con gli arbitri ma sarà uno di quei giocatori che una volta che ci lascerà rimpiangeremo pesantemente.
The good 2 (eccezionalmente)
Mentre scriviamo è arrivata un’altra notiziola che fa sempre un poco dispiacere, anche se è fisiologico che queste cose accadano. Dopo 67 cap Quintino Geldenhuys abbandona la nazionale azzurra, con il mega-trofeo personale della vittoria contro i suoi compaesani bokke. In verità il buon Quintino ha già detto che ora la sua casa è l’Italia e la sua famiglia resterà qui. Ci fa particolarmente piacere che il primo “non italiano” diventato capitano della nazionale sia stato lui. Un professionista sempre presente, silenzioso ma decisivo in campo. C’era chi, con la solita pretestuosa vena inutilmente polemica rivolta a “certi” giocatori, lo chiamava “Goldecoso”. Noi lo chiamiamo Quintino e lo ringraziamo. Ora, mio capitano, dai una mano a Zebronia che ne hanno parecchio bisogno.
The Bad
Pieretto. L’azione chiamata “stamping” è una delle peggiori schifezze che si possono fare su un campo di gioco. In sostanza consiste nel calpestare un avversario: nell’azione che vedete qui sopra il pilone pumas Pieretto va secco di tacchetto in zona facciale, un’azione pericolosissima che diventa veramente pessima se fatta intenzionalmente (e pare questo il caso). Probabilmente Pieretto si piglierà una bella squalifica: molto giusto da parte di Irb tutelare al massimo ogni situazione di gioco che comporti rischi per l’incolumità di quelli che in campo starebbero comunque “giocando”.
Quando invece di 4 mete ne fai 0
Settimana scorsa vi parlavamo dei maledetti episodi che costruiscono la bellezza spietata di questo sport. Come nei migliori romanzi di scrittori ebraici, quelli di autori come Bernard Malamud, il destino incombente pare aleggiare sempre su di noi piccoli Giobbe del pallone ovale. Arriviamo a marcare dopo meravigliosa azione ma tocchiamo con l’alluce la linea laterale. Costruiamo 3-4 maul e una volta per una ragione, una volta per un’altra l’obiettivo grosso diventa miraggio e scompare il regalo quando è proprio davanti a noi solo da scartare.
Uno dei più antichi testi del mondo, che per molti è anche un Testo Sacro, dice L’uomo nasce al travaglio, come l’uccello per il volo. Non non siamo esattamente religiosi ma questa ci pare un’ottima definizione del nostro destino rugbystico e forse più in generale di molti fatti dell’umana esistenza: travaglio, sofferenza, ma anche parto che con dolore genera vita, “lavoro” (come il francese travail o il siciliano travagghiu) per migliorare. Insomma, travagliando si impara, soffrendo si migliora, patendo la cattiveria del destino ci si rafforza.
Una serie di devastanti ciccioni
C’è una categoria rugbystica a parte, entrarvi non è da tutti, anche per banali questioni genetiche. Si tratta dei ciccioni, gli over 130 kg che quando si mettono in moto diventano macchine Caterpillar da sfondamento. State pensando a Uini Antonio e ai suoi 155 kilogrammi di grazia? Ecco parliamo esattamente di questo tipo di giocatori: il video che vedete qui sopra li mette uno accanto all’altro e viene un po’ di tenerezza per tutti quei poveretti che cercano di fermarli…
In appendice, vista l’umanità citata, non si può non fare una coda a parte riservata a Trevor Leota, forse l’exemplum massimo di tale genia ovale, la cui specialità in campo era l’omicido a spalla armata…
Joseph K.
Foto copy Stefano Del Frate (https://www.flickr.com/photos/stefanodelfrate/, http://www.stefanodelfrate.com/).