Un fertility day per i giocatori italiani. Uno Sherlock Holmes per capire la differenza di risultati in casa e fuori. E poi un buon fabbro per l’armatura da opporre ai martelli tongani…
11, 12. La posizione che i nostri hanno, e che probabilmente avranno anche alla fine, in Celtic. Una posizione che rispecchia quello che siamo: una buona schiera di rugbysti che ancora devono arrivare al livello degli altri. Non è facile crescere a rugby, è difficile competere con i più forti tentando di stare alla pari, alla pari di chi gioca in campionati con molti più soldi e strutture. Mai mular ragazzi. Chi scrive crede che molti dei veri appassionati di ovale italici sarebbero già abbastanza soddisfatti di vedere in campo squadre che si battono come leoni (leoni gli animali, non i giocatori trevigiani). Mai mular, alla fine questo ci basta.
The Bad
Un Fertility day per gli azzurri. Leggendo le statistiche dell’ultima partita di Treviso, un quasi cinquantello preso in Scozia contro Edimburgo, ci è venuta la conferma rispetto ad una sensazione che avevamo avuto durante la diretta.
Treviso ha fatto la partita. Sì, avete capito bene, la partita l’ha fatta tutta, dal primo all’ultimo minuto, e completamente, Treviso. Qualche dato a supporto della tesi, solo in apparenza bislacca: possesso Treviso 54%, Edimburgo 46%. Placcaggi effettuati: 121 Treviso, 144 Edimburgo.
Ecco, posto che chiaramente le statistiche non sono tutto ma “aiutano” a capire il tutto, uno penserebbe che una squadra che si piglia un cinquantello subisca in termini di possesso e faccia molti più placcaggi degli altri. Invece è l’esatto opposto per i Leoni che manovrano e subiscono, tentano di creare gioco e pigliano mente, in una sterilità che diventa quasi preoccupante. Così accade che corri tanto e non sai dove vai, che sbagli strada e arrivi dal fiorista invece che dal panettiere, che finisci la benzina e devi tornare in treno, che arrivi al colloquio di lavoro un’ora dopo e il selezionatore ha già detto bye bye e ha scelto un altro. Insomma, tornando a parlare rugysticamente, possesso&sterilità significano fare fatica, non concretizzare e sentire ancora di più quei 2-3 colpetti che gli altri ci danno di tanto in tanto.
Ovviamente se lavori al fianco il tuo avversario per 5 minuti e poi lui ti tira due sganassoni belli centrati sul mento, è lui che alla fine vincerà. E infatti altre statistiche dicono che Treviso ha sbagliato il 25% dei placcaggi mentre Edimburgo solo il 10%, Che Edimburgo ha fatto 11 line break contro solo 3 dei Leoni (i giocatori veneti, non gli animali). Che gli scozzesi hanno superato il diretto difensore per 30 volte contro le sole 14 dei nostri.
Insomma, tanta fatica, tanto lavoro, tanto fieno per nulla. E in più molti regali, molte gentili concessioni per le quali altri hanno aperto le braccia e accolto con gioia la non richiesta prodigalità.
The good
Giamba Venditti. In tutta onestà: il good della settimana doveva essere dato al devastante flanker delle zebre Meyer, un giocatore di classe per il quale almeno un altro anno di contratto e l’equiparazione speriamo siano già previsti dalle parti del Foro Italico, Stadio Olimpico, 00135 Roma, c.a. Federazione Italiana Rugby (a scanso di equivoci: chi scrive è a favore di equiparazione solo dopo 5 anni, niente prelievi di minorenni in giro per il mondo, niente accademie di club in paesi esteri).
Ma Giamba Venditti, che pur di errori ne fa ancora, ha dimostrato in queste prime partite una di quelle caratteristiche che il Good rugbysta dovrebbe sempre avere: il cuore. Se tecnicamente qualcosa ancora manca, se non è Lomu e forse neanche Ludovico Nitoglia, Giamba però ha sempre, in ogni partita, un workrate notevole (cioè fa tante e diverse cose in campo: placcaggi, pulizie, palle recuperate ecc.) e il testone a sfondare ce lo butta regolarmente. Ci piace il suo carattere e ci piace il fatto che a passi, magari piccoli, i suoi miglioramenti li faccia. Un ala dal fisico strabordante che può veramente diventare un punto di riferimento: continuare così che la strada è buona e a 26 anni i margini di miglioramento ci sono ancora.
Il giallo del bidone giallo
Questo era il titolo di un film comico-surreale di qualche tempo fa. Il giallo – per quanto ci riguarda – è la sproporzione di prestazioni tra le nostre squadre quando giocano nel terreno domestico e quando vanno in trasferta. Se in casa tendenzialmente ce la si gioca “ad armi pari” con tutti e qualche volta pure si porta a casa la pagnotta, all’estero arrivano regolari la mazzate a suon di tagliente mazza bipenne vichinga.
Como es posibile? Trasferte lunghe, pochi tempi di recupero, rose limitate, pochi giocatori veramente “over the top” che quando mancano si sentono tantissimo mancare. Ma anche: giocare in stadi carichi di storia, con magari 10 mila persone a supportare il tuo rivale. Ma anche (2): giocare contro veri uomini monstre di questo sport, gente come Stuart Hogg, Dan Biggar, Sam Warburton… Ma anche (3) “abitudine a perdere”, morale di chi parte sapendo che all’estero non vince dall’anno con un numero in meno in fondo.
Insomma le possibili spiegazioni sono tante ma effettivamente è molto difficile capire il vero perché. Per altro è una cosa che riguarda anche gli azzurri (anche se poi l’anno scorso la partita in cui siamo più andati vicini alla vittoria è stata giocata non a Roma ma a Parigi…).
Tongan Thor
Beh che la natura e la genetica siano state estremamente benevole dalle parti del Pacifico è cosa nota. Questo video ci mette anche una certa apprensione, perché i tongani li sfideremo tra un mesetto a Padova e, anche se non è necessario ricordarlo, sono giusto un pelo difficili da affrontare sul piano fisico. E considerando che quella sarà la nostra partita da All In (le altre due sono tra l’impossibile e l’assolutamente impossibile) – e purtroppo arriva per ultima -, ecco, meglio iniziare a serrare i ranghi…
Foto copy Stefano Del Frate (https://www.flickr.com/photos/stefanodelfrate/, http://www.stefanodelfrate.com/).
joseph k.