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The good & the bad

sergio parisse
Scritto da Rugby.it

Perché con gli amici invece che a calcetto non giocate a rugbetto? E perché sarebbe cosa buona et giusta vedere Castro a Calvisano e Parisse a Treviso. Infine: la mischia top dell’anno è quella di…

Il mese rugbysticamente più fiacco, almeno per noi italici, è luglio (ma si continua a giocare a seven, touch). Le squadre sono in vacanza o lentamente stanno per riprendere la preparazione, i campionati sono fermi, le feste del rugby dei vari club sono passate. Ma è anche quel mese in cui il rugbysta inizia a pensare al futuro: faccio l’abbonamento l’anno prossimo? Vado a vedere i test match? Vado al sei nazioni? Compro quell’ennesima maglia che ho visto su ebay di Hawke’s Bay, sì è vero ne ho già troppe ma è così bella con quelle bandone orizzontali old syle bianconere…

The Good

Come detto non proprio tutto il rugby è fermo. Il seven vivrà proprio nei prossimi giorni i suoi momenti di gloria: tornato alle Olimpiadi vedrà disputarsi un bel torneo ricco di tante star, alcun già aduse alla formula a sette, altre un po’ imbucate alla festa in cui certamente lo sport ovale riceverà una bella promozione planetaria. Se noi, come sapete, siamo assenti, ci saranno invece le squadre maschili e femminili spagnole, ultime qualificate nel torneo prolimpico di Monaco. La Spagna a 15 latita e fa fatica, così come molte altre nazionali che invece se la cavano più che bene a sette (il Kenia, per citarne una). Il capitano spagnolo ha in più regalato una perla filosofico rugbystica dicendo che non saranno grossi e muscolati ma sono una squadra. A volte questo pensiero ci è venuto in testa, in particolare vedendo alcune nostre giovanili fatte di panzer molto grossi con bicipiti grandi come un quadricipite di un normale umano non rugbysta: “Sì sono forti fisicamente, o almeno lo sembrano, ma non sono una squadra, sono dei solisti che pascolano nel campo e fanno fatica a farsi orchestra e collettivo”.

The Bad

Il mercato. Il mercato decide tutto, indi per cui in Europa, ma anche dall’altra parte del mondo, siamo schiacciati dai due supercampionatoni francese e inglese, bravi loro ad attrarre sponsor, seguito, ricchi contratti televisivi, a saper gestire il marketing ecc.

Il rugby, però, sarebbe anche tradizione ed appartenenza, a noi piacciono quelle storie, invero rare ormai, dove il giocatore nasce e muore col club, cucendosi addosso la maglia, magari salendo dal club più piccolo alla franchigia agognata e poi diventando una bandiera. Ci piaceva anche il club con senso di appartenenza, con la fierezza del proprio team: se oggi si va a Parma si fa una bella gita ma ancora non si sente propriamente questo radicamento e questo senso di appartenenza.

Insomma, lo strampalato discorso cerca di andare a parare in un punto in cui il nostalgico che digita queste lettere rimpiange un pochetto un certo clima che ora si fa fatica a ritrovare, almeno nel rugby super pro, il clima che sa di salamella, di luci mezze rotte del campo la sera, di mamma che fa la pasta al sugo per il terzo tempo e babbo che tira le righe storte del campo. Il rugby dove quando finisci di giocare torni circolarmente al club che ti ha fatto iniziare e fai lì gli ultimi 2-3 anni di carriera, o magari semplicemente torni a dare una mano.

Stiamo volando troppo alto nei cieli della trascendenza meta-rugbystica? Ecco, un esempio: se un Parisse un domani prossimo tornasse a chiudere la carriera a Treviso, non sarebbe bello? Se un Castro trovasse la motivazione per farsi un’altra annata a Calvisano, non ridarebbe vitalità ad un movimento che non aspetta altro che piccoli colpi di elettroshock? Se si mostrasse anche un poco di “riconoscenza” alle proprie origini, come hanno fatto un Picone o un Perugini dando una mano alla società che li hanno lanciati e giocando gli ultimi incontri con essa, non trovereste che almeno un piccolo squarcio simbolico alla geometria del mercato verrebbe aperto?

In Argentina fare così è ancora abbastanza usuale, da noi un poco meno anche se in tanti questi legami ancora li sentono. Sarebbe bello che la cosa si allargasse e diventasse – o tornasse ad essere – buona abitudine.

Vedi anche: Tutti i risultati del week-end.

Ammazza che mischia!

Fino a pochi anni fa si diceva che chi dominava le fasi statiche vinceva a rugby. Oggi forse non è più così esatta la formula ma certamente avere una mischia dominante non è malaccio, anche perché se reggi in mischia o, meglio ancora, se sei avanzante, il tuo mediano avrà più tempo per ragionare, il tuo 10 avrà più spazio e tranquillità per aprire, il tuo 8 potrà decidere a piacimento quando partire e la tua squadra avrà tutta la calma per ponderare in che lato avanzare e che opzione utilizzare. Insomma, una buona mischia è decisamente un buon inizio.

Se il pacchetto di avanti dell’under 20 attuale georgiano è performante come nel video che vedete sopra, ecco, nei prossimi annetti saranno doloretti per chi come noi deve difendere con i denti un posto nei banchetti delle “grandi” guardandosi dietro da chi scalpita per allargare i copetti (ops, scusate, i coperti, ci siamo fatti prendere dalla rima).

Una bella partita di rugbetto

Il mercoledì l’ora di… rugbetto. Perché non provare a trasportare un equivalente, ridotto, del rugby anche in versione indoor, com’è il calcetto per il football? In Francia ci hanno provato, l’idea ci pare carina e potrebbe essere anche una cosa interessante per i club agli inizi, per gli amici che vogliono fare una sgambata col brutto tempo, per le scuole, per le università. Cinque contro cinque, campo più ristretto: dal video non abbiamo ben inteso se il placcaggio è previsto o se si tratta in definitiva di una sorta di touch adattato. Però ci pare un’ottima iniziativa che ha nell’idea di “piattaforma multisport” di questo complesso francese (dove si può praticare dal calcetto al beach volley, dal rugby al paddle, quella evoluzione del tennis che va molto in Spagna) il suo punto forte. Complessi adattabili a tante discipline per poi farsi una birra in una club house comune. Così tanto inimmaginabile da noi?

Foto di  Clément Bucco-Lechat Copy CCBy-sa 3.0.

joseph k.

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